“Maurizio Maggiani: Le mie paure e il “no” francese all’Europa”
Oggi Marguerite vota no. Vota no e basta. E non c’è stato verso che cambiasse idea nei due mesi in cui l’ho sentita, praticamente ogni settimana, per parlare delle nostre cose di lavoro e alla fine porle, con lubrica curiosità, la domanda del mio sondaggio personale: sì o no Marguerite? No. So tutto del no di Marguerite perché me lo ha spiegato e rispiegato con dovizia e pazienza di vecchia insegnante. Non che sia molto più vecchia di me, ma ritiene di saperla molto più lunga di me e degli italiani in genere in fatto di democrazia e di cittadinanza. Così come noi di qua siamo abituati a vedere i francesi, ha un po’ di puzza al naso Marguerite. E io un po’ la invidio e un po’ mi fa paura. La invidio perché mi piacerebbe poter scegliere le cose più importanti della mia vita civa e politica con la sua ostinata indipendenza di giudizio, con la sua idea – così bizzarra vista da qui – che sono Chirac e Jospin che devono stare a sentire lei, che lei loro li ha già sentiti a sufficienza. Invidio, fino a farmi verde di bile, il suo incaponirsi su un’idea dell’Europa che vorrebbe e voterebbe e che lei vede molto lontana da quella che traluce dall’urna del referendum per la sua Costituzione. Invidio da morire la sua pericolosissima – vista sempre da qui – sconsideratezza, ragion per la quale Marguerite pensa che l’Europa che oggi non si può fare alle condizioni di Chirac potrà essere fatta in futuro ad altre condizioni, quelle che lei e i suoi concittadini riterranno più congrue ai loro interessi. Già l’idea che sia un futuro e uno abbastanza vasto da contenere un’idea di Europa diversa da quella di oggi, vista da qui sembra pura follia. Eppure pare proprio che un bel po’ di francesi, la maggioranza si dice, con quella puzza al naso, siano intenzionati a dar man forte a Merguerite. Non so se tutti per le stesse ragioni sue, ma una gran parte sì, a giudicare dal milione di inchieste che sono state condotte per cercare di capire come mettere le cose a posto e ridurre a un ragionevole assenso i cittadini del no. Ma Marguerite resiste. Le hanno parlato, l’hanno addirittura supplicata, il fior fiore dell’intelligenza del suo paese, i più autorevoli politici, compresi e per primi quelli che lei ha pure votato a suo tempo, e tutto ciò senza successo alcuno. Marguerite ritiene di aver già commesso errori che giudica imperdonabili e non vuole rifarne. Lei, ad esempio, non perdona a se stessa di aver votato Chirac e di averlo fatto odiandolo, costretta a quello che chiama pudicamente “mercimonio”, alle passate presidenziali. Quelle che poteva vincersele il neo fascista Le Pen; perché anche ai francesi capita pure – con la loro puzza al naso sono pur sempre umani – di farne qualcuna di veramente grossa. Così come non perdona ai suoi politici – Marguerite è, o perlomeno è stata, socialista – di averla ridotta a questo. E di aver ridotto l’Europa, al succo di una retorica degli ideali lunga decine di anni, a un fantasma incorporeo e remoto di cui avverte la presenza solo quando si aggira per i mercati agitando la sua moneta. Moneta che tanto bene ha fatto all’economia del Paese, ma che pure un Francia deve aver fatti qualche danno a quella del cittadino. E mi fa paura Marguerite. A me che continuo a votare per i meno peggio, e pure continuo a starli a sentire quelli lì, anche se non hanno nessuna intenzione di stare a sentire me. A me che vivo in un paese dove l’euro ha fatto danni che Marguerite, nella sua foga giacobina, giudica degni del patibolo. Io mi aggrappo a questo fantasma di Europa, a questo relitto di ideale spolpato fino al suo scheletro con la disperata veemenza di un naufrago che si aggrappa alla cima gettata da una nave. E non gli importa nemmeno che sia una nave di pirati, una nave di trafficanti di schiavi. Io non vivo in un Paese che può permettersi il lusso di un’ Europa futura migliore di quella che c’è. Vivo in un Paese dove di quest’Europa ce n’è già abbastanza e ne avanza. E solo l’idea che la sua impalpabile materia possa ulteriormente sfarsi mi fa venire i brividi. Vivo in un paese diverso da quello di Marguerite, un paese di cittadini senza pretese e senza speranze. E sono talmente sfinito dalla contingenza che vive questo Paese, che, pur non avendo nessuna chiara idea delle conseguenze del referendum francese in caso di vittoria del no, sono qui a temere il peggio. Il peggio per me, non per Marguerite. E questo insensatamente, irragionevolmente, perché magari non succederà nulla. Ma è a questo che sono ridotto, che siamo ridotti, a cercare di tirare avanti tra gli spaventi e le angoscie. Cittadini di una repubblica nata dalla Resistenza e fondata sul lavoro come bambini nel bosco quando è ormai è sera.
Tratto da “Il Secolo XIX”, 29 maggio 2005