Maurizio Maggiani: Il gusto amaro della polenta Ogm
La prossima settimana il nostro governo prenderà decisioni molto importanti circa le commercializzazione e la produzione nel nostro Paese di Ogm, organismi geneticamente modificati, e mi auguro che ormai voi tutti sappiate di cosa si tratta. Che si tratti di decisioni importanti lo si capisce anche dal fatto che ben mille tra scienziati e ricercatori italiani abbiano firmato un documento per sostenere opinioni confortanti circa la salubrità dei sopraddetti organismi. Non capita spesso che gli scienziati di questo paese prendano pubbliche ed ed energiche posizioni; non hanno di farlo su temi altrettanto importanti per la nostra vita – e la nostra morte – e la cosa dunque va considerata con grande attenzione. Ho un solo fastidioso dubbio circa gli scienziati italiani. È da quando ero bambino che sento e leggo che le nostre migliori menti sono costrette ad emigrare.
Se ne deve dedurre che da un paio di generazioni siamo forse costretti ad affidarci al pensiero e alle opere delle peggiori menti? Mah?!
Cionondimeno ho letto con attenzione l’appello dei mille. Sono personalmente molto interessato agli Ogm, perché sono interessato ai destini della specie umana e perché vado pazzo per la polenta. Il mais è stato uno dei primi vegetali geneticamente modificati ad entrare massicciamente nel mercato. E se la mia passione per la polenta gialla non bastasse, l’altro ieri ho mangiato a casa di un pastore una bella fettona di formaggio fatto con il latte della vacca di casa, nutrita d’inverno con mangime contenente mais Ogm. Il formaggio era buono, anche se non eccelso, e io sto benone, e anche la vacca mi è sembrata che se la passasse alla grande. Forse è il pastore che dovrebbe applicarsi con maggiore arte.
Dunque, gli scienziati appellanti insistono molto nel rassicurare l’opinione pubblica sulla innocuità dei prodotti Ogm. Colmi di entusiasmo per la grande nuova conquista della scienza si lasciano andare a considerazioni non sempre scientificamente rigorose, ma non importa. Io ci credo veramente che gli Ogm oggi in commercio non facciano male. Non so se fanno bene, ma so che non fanno male. C’è una certa qual differenza, notatelo, tra le due cose. Ma pazienza: facciamo molte cose tutti i giorni a noi stessi e agli altri ragionevolmente sicuri solo che non facciano male. Il problema non è principalmente sanitario; forse lo diventerà, forse no. I problemi sono altrove, e altrettanto gravi.
Il primo non riguarda la nostra polenta ma quella degli altri. Partiamo da qui. Sentirete dire tutti i giorni che grazie agli Ogm sarà finalmente debellata la fame nel mondo. Promuovere la coltivazione di cereali geneticamente modificati è un atto di altruismo e di lungimiranza. Non vero; oggi falso, domani chissà. Potete prendere i dati delle due multinazionali che hanno il monopolio degli Ogm o i dati della Fao, l’organizzazione Onu per l’alimentazione. Oppure chiedete direttamente alle organizzazioni dei contadini indiani, peruviani, messicani, africani. Secondo le corporations siamo alla rivoluzione agroalimentare che risolverà i problemi dell’alimentazione mondiale, secondo la Fao e i contadini le cose stanno diversamente, tragicamente diversamente. Non si capisce il perché ma la redditività degli Ogm è alta solo nei Paesi altamente sviluppati. Nel resto del mondo, dove bisognerebbe appunto risolvere il problema della fame, la redditività è sempre più bassa rispetto a un sistema di coltivazione classico, condotto con la tradizionale cura, con mezzi moderni e rispettoso del terreno e dell’ecosistema. Diciamo che su un ettaro ben coltivato il mais naturale rende 100, l’Ogm 90, sempre che la coltivazione Ogm vada a buon fine. Ma non è detto. Se un Ogm è molto resistente a uno specifico elemento, può rivelarsi particolarmente debole rispetto ad altri. Se resiste al freddo può essere fragilissimo rispetto alla siccità, ad esempio. In Argentina le coltivazioni Ogm hanno in poche generazioni desertificato il terreno su cui sono state coltivate. E oggi occorrono anche quattro volte i tradizionali trattamenti anticrittogamici per ottenere raccolti. Non un buon affare per la terra e gli uomini d’Argentina.
Avete per caso sentito la notizia dei suicidi in massa dei contadini indiani? Forse sì: decine di coltivatori si sono suicidati per la disperazione, perché i loro raccolti Ogm sono andati male e non avevano i soldi per ricomprare le sementi. Comprarle dalla multinazionale fornitrice. E questa è novità straordinaria: i contadini che coltivano Ogm non sono più proprietari dei semi, ma dovranno in eterno acquistarli dall’azienda che ne ha il brevetto. Al prezzo dell’azienda, naturalmente, qualunque sia stato l’esito del raccolto. I contadini, da quando esistono sono sempre stati proprietari delle sementi, hanno nel corso dei millenni selezionato le loro sementi, naturalmente non innestando geni di pipistrelli, ottenendo specie raffinate da una naturale ingegneria genetica. La proprietà della semente è orgoglio culturale e unica sicurezza del contadino. Ora non più.
E per la nostra polenta? Abbiamo davvero necessità di utilizzare Ogm per la nostra alimentazione? Granturco più dolce, ad esempio, per i pop corn dei nostri figli? No, ovviamente. Chi coltiva Ogm in Italia del resto non è il contadino da cui andare a comprare un sacchetto di farina di quella buona. È un imprenditore che se vede un campo è perché ci passa con il suo fuoristrada da 100.000 euro. I suoi prodotti servono alle grandi industrie multinazionali per l’alimentazione animale e per i cibi preconfezionati. Al momento. Poi chissà. Ma intanto ci sono migliaia di piccoli agricoltori che riprendono a fare culture di qualità, usando le loro antiche semenze. I prodotti coltivati con razionalità e buoni criteri naturali sono sempre meno cari perché sempre di maggiore disponibilità.
Basterebbe investirci sopra e potremmo tutti nutrirci con cose che non solo non fanno male, ma sono buone e fanno bene. Ma a dare una mano alle corporations perché facciano il loro grande business pare che sia più moderno che dare una mano ai contadini dell’Appennino. Dove giusto l’altro giorno ho speso otto euro per mangiare un piattone di polenta con i funghi e berci una bottiglia di nostrale. Dove appare chiaro che qui di speranze non ce n’è per la ripresa economica del Paese. Ce n’è solo per la mia pancia e per la dignitosa vita di chi mi ha servito le sue naturali delizie.
Tratto da “Il Secolo XIX”, 7 novembre 2004