Maurizio Maggiani: La carta igienica seppellirà il mondo
È un pezzo che non sto più dietro ai numeri dell’Istat: la scienza statistica di Stato gode della mia totale e definitiva sfiducia, venga a dirmi che la vita è bella, venga a dirmi che è uno schifo. Le mie molteplici angosce e preoccupazioni nascono altrove. Da qualche giorno la peggiore ansia mi nasce in bagno. Entro, espleto le nobili mansioni, adocchio il rotolo di carta igienica, ne stacco con cura un foglietto e un senso di imminente tragedia mi pervade. Intendiamoci, niente a che fare con il mio personale, ma una questione globale. Ho sempre avuto un grande rispetto per la carta igienica. La mia infanzia ha avuto luogo all’ombra indimenticata dei fogli di giornale tagliati a quadretti e infilzati in un gancio da macellaio: vista da quel gancio non ho avuto un’infanzia che potrei definire felice.
Il piombo tipografico non è un emolliente e un rinfrescante tra i più efficaci. L’avvento nel gabinetto del rotolo di carta è stato un passaggio di epoca assai più incisivo della mia prima penna biro e ancora oggi lo guardo e lo uso con grande rispetto. Per questo continuo ad accendere virulente polemiche con le mie amiche, grandi srotolatrici e scialacquatrici; come se la carta igienica non fosse un piccolo miracolo di una vita di benessere, come se non fosse una meravigliosa e preziosa invenzione.
Ma il tema del rotolo ha assunto una dimensione devastante da quando, qualche giorno fa, un signore che si occupa di economia globale per il governo tedesco mi ha informato – senza che la sua voce si incrinasse e nemmeno cambiasse di tono – che metà della popolazione mondiale ancora non fa uso di carta igienica. Non lo sapevo, non ci avevo mai pensato. Sono ragionevolmente convinto che questo pensiero non abbia mai sfiorato le vostre menti. Attenzione: più o meno tre miliardi di umani non fanno uso di carta igienica. Ancora no. Perché è un lusso che non possono permettersi, per la maggioranza, e perché i costumi di alcuni popoli tra loro li inducono a lavarsi con acqua piuttosto che nettarsi con carta.
Ecco, pensateci. Pensate al giorno in cui questi tre miliardi di umani si sveglieranno la mattina e staccheranno ognuno i loro foglietti di carta igienica. Stando ben attenti a non sciuparla, meravigliati di questa comodità e consci dello sforzo che è stato necessario per arrivare a tanto benessere. Accadrà. Presto, speriamo, no? O abbiamo forse l’idea che un minimo di vita decente tocchi solo a noi? Comunque sia, ciò che noi pensiamo è di nessuna importanza: accadrà per la forza stessa delle cose, presto perché tutti noi si possa vederlo, a meno che non si riesca a mettere fine al mondo domani stesso. Cosa non del tutto improbabile, a dire il vero. Non dico – capite? – che presto tutti gli uomini andranno in automobile, che tutti i Paesi avranno un sistema sanitario decente, che ogni famiglia del mondo comprerà un libro all’anno. Ma che in ogni cesso del pianeta ci sarà un rotolo di carta igienica. Davvero difficile contraddire questa previsione.
Bene, cosa accadrà allora? Continuate a pensare. Se non ci arrivate da soli, vi dò una mano io. Accadrà che nel giro di una generazione non ci sarà più un albero in tutto il pianeta. A parte tutte le altre ragioni, al disboscamento globale basterebbe che ogni figlio di Dio potesse nettarsi con un paio di foglietti di carta igienica. Quando? Tra dieci anni, tra venti? Pensate che potranno passare cento anni? Lo credete davvero? Io no. Io so che vedrò tutto questo. E vedrò molto altro ancora. Basta che mi dedichi all’attività facoltativa del pensare. Solo pensare.
Un commentatore del “Washington Post” se n’è uscito l’altro giorno con la seguente constatazione: Bush e Kerry stanno cercando di risistemare le poltrone a sdraio del Titanic. Guardate a questa frase dall’angolo del vostro rotolo di carta igienica, se tutto il resto ancora non vi basta. Le battaglie politiche si disputano per decidere chi sarà il comandante del Titanic. Chiunque siano i vincitori, piloteranno una nave destinata ad affondare. E lo credo. Per cambiare il destino della nave occorrerebbe fare una cosa che risulta impossibile, ovvero occuparci di tutt’altre cose da quelle che assillano i nostri governi. Che non sanno guardare e pensare, e forse li abbiamo scelti proprio per questo: per continuare a ballare tutti quanti spensieratamente fino allo schianto finale contro l’iceberg della realtà. Meglio godersela una settimana che dover pensare per tutta una vita.
Tratto da “Il Secolo XIX”, 24 ottobre 2004