Maurizio Maggiani: La civiltà delle immagini

Ho guardato a lungo in questi giorni le facce che il più grande partito della sinistra pubblica di se stesso sui muri di Genova in occasione della sua festa nazionale. Sono immagini che raccontano molto, forti di una sincerità che va oltre l’intenzione che le ha concepite.
C’è l’Immagine del Candidato, l’Uomo delle prossime elezioni regionali. È qualcosa di più di una fotografia, è un dipinto digitale. Ciò che l’immagine comunica nella sua vivida presenza è lo spirito di un uomo nei tratti del suo volto: nobiltà, altera bellezza, consapevole distacco, braci di un mite fuoco interiore. E, pur essendovi regalmente insediato, sideralmente distante dagli scialbi muri cittadini. Se c’è uno spazio adeguato alla bellezza di quel ritratto, è nella biblioteca di un palazzo dogale, non certo sul cartongesso di una recinzione suburbana. Ho riflettuto a lungo sugli elettori che potranno apprezzarla. Dove volge lo sguardo del Candidato? Tra i molti target sociologici che andranno a votare solo uno a mio parere è elettivamente e pienamente consonante: le signore della borghesia imprenditoriale e produttiva metropolitana. Che sono meravigliose e più che sufficienti ad eleggere un presidente di regione.
L’altra immagine che mi ha molto colpito è un ritratto collettivo. Riproduce il famoso quadro di Pellizza da Volpedo, Il Quarto Stato. Il proletariato che, emancipato dalle catene, avanza fiducioso e determinato verso il sole dell’avvenire. Una delle immagini “politiche” più belle e convincenti mai realizzate. Nell’aggiornarlo alla contemporaneità il fotografo (collettivo anch’esso, la “Fabrica di Oliviero Toscani”) non saprei se per sua sensibilità o per ordine del committente (il Festival Nazionale de l’Unità) ne ha stravolto il messaggio fondamentale. Mentre nel dipinto del Pellizza la folla che avanza ha lo sguardo limpido e determinato fisso sulla meta -un’unica meta per i proletari di tutto il mondo- nel rifacimento il proletariato del terzo millennio si guarda intorno smarrito. Chi cerca di qui chi di là qualcosa che gli pare sfuggire. Chi si volta indietro con l’espressione sorpresa di chi ha appena subito una, modesta, molestia sessuale, chi osserva turbato la suola della scarpa come avesse appena pestato una deiezione canina. Solo il giovinotto in testa al corteo pare certissimo di ciò che l’attende, ma più del sole dell’avvenire dà l’impressione di aver appena visto, più modestamente, il posto di ristoro della marcia. La deliziosa ragazza che gli sta al fianco lo sprona a non perdere l’occasione. È scalza, ma a differenza della sua antenata, non perché ridotta in miseria dallo sfruttamento, ma perchè seguace di una nuova, fichissima teoria salutistica. Il suo bambino, avvolto nella bandiera della pace meriterebbe per sé fibre naturali come il modesto cotone, piuttosto dell’indegradabile, impermeabile nylon. Non so se quello rappresentato è davvero il popolo della sinistra. Francamente spero di no, spero che non sia soltanto quello. Tanto per cominciare perché io lì in mezzo non mi ci vedo, e ancora non ho perso la vaghezza di sentirmi parte del popolo e della sinistra. Ma foss’anche così, quella immagine dice qualcosa di molto importante, e drammatico. Dovrebbe dirlo all’onorevole Fassino che proprio oggi parlerà alla gente che quella fotografia vorrebbe contenere. È gente che cammina perché desidera ardentemente andare da qualche parte, vorrebbe il suo avvenire, lo vorrebbe soleggiato. Lo sta cercando quel posto e sarebbe contenta se qualcuno le risparmiasse la frustrante sensazione di essere a un incrocio senza segnalazioni. Nessuna nostalgia tra quella gente per il Grande Timoniere, ma se gli scouts, le vedette, quelli che si ritengono più avanti, le avanguardie al comando, facessero il loro lavoro e si degnassero, previa concorde decifrazione delle tracce e del moto degli astri, di dare una dritta… Una sola, inequivoca, attendibile dritta…

Tratto da “Il Secolo XIX, 19 settembre 2004