Maurizio Maggiani: Preghiera per un amico che lavora per la pace
Questa è una preghiera. È una preghiera per un amico. Il mio amico è vivo e sono qui a pregare per lui, per la sua vita, mentre in una sala operatoria di Roma gli stanno aprendo il petto e per molte ore ancora non potrò sapere niente di lui se non quello che già so. E quello che so della sua vita adesso ve lo racconto, perché Tom non è solo il mio amico più grande amico, ma è anche un uomo molto importante per una grande quantità di altre vite. Spero in questo modo che qualcuno vorrà unirsi alla mia preghiera, alla mia veglia.
Tom ha la mia stessa età ed è veneto, un alpino grande e grosso, e tanto per dire, è così e basta. Se non fosse un alpino grande e grosso non avrebbe potuto fare niente di quello per cui sta vivendo. Se non fosse un veneto testardo com’è, niente di quello che sta facendo avrebbe potuto dare qualche frutto.
Tom, ufficiale artigliere alpino, lavora da quando lo conosco, e sono più di vent’anni, a un’unica cosa: costruire la pace. La pace per quello che è: vivere fraternamente nella giustizia; qui, là ovunque. La cosa che cerca di ficcarmi nella zucca da quando ci conosciamo è questa: le idee giuste sono sempre idee semplici da capire, le cose buone trovano sempre un modo semplice per essere fatte. La cosa più importante che la sua vita mi insegna è la seguente: fare una scelta e della scelta compiuta farsene una passione. E vivere di questa passione senza che diventi ragione di tracotanza. Questo pensa Tom: che nessun obiettivo, anche quello che appare più scandalosamente difficile da raggiungere, sia sproporzionato rispetto alle forze che un uomo può dedicarci. Per questa ragione ha fatto cose che soltanto viste da lontano paiono incredibili, cose che per lui sono semplicemente ciò che andava fatto. Pare la pace, fare la giustizia. Fare. È un uomo molto concreto Tom. È conosciuto ovunque in Europa non per i suoi discorsi – lui parla solo lo stretto necessario, che per un veneto è un concetto molto, molto preciso – ma per le sue azioni, pratiche azioni di pace. La prima cosa che mi viene in mente adesso circa la sua idea di “fare le cose semplicemente” è il suo passaggio di frontiera durante la guerra di Bosnia, nel momento più duro di quella guerra. A nessun mezzo era consentito di valicare il confine tra Ungheria e Serbia e lui allora lo ha fatto a piedi. A piedi con la sua valigetta scalcagnata per andare a dare una mano agli amici sotto assedio a Sarajevo. Non ha mai raccontato questo, come altri episodi, se non tra amici per scherzarci un po’ su. Quello che pensa del suo modo di vivere è questo: cosa vuoi che faccia? La mattina prendo su il ruolino di giornata e mi metto a lavorare. Non ha mai fatto gesti teatrali nel suo fare azioni di pace, non si è mai incatenato da qualche parte né ha fatto scioperi della fame e cose del genere. Anzi, nella sua valigetta ci sono sempre due panini: uno per sé e uno per chi incontra. E ha sempre incontrato qualcuno a cui quel panino gli veniva veramente comodo.
So che Tom non è l’unico al mondo fatto in questo modo. Può apparire così come lo racconto un eroe ottocentesco ma nell’oggi, nella contemporaneità, sono molti gli uomini e le donne fatte così, in tutto il mondo. Non ne sentite quasi mai parlare nei media e, quando accade non di rado sono svillaneggiati e derisi. Gente che non capisce la complessità del mondo, un mondo dove per avere la pace è bene preparare la guerra, pacifisti a senso unico, anime belle, disturbatori della quiete sociale, rompipalle guastatori dell’ordinato svolgimento della politica. Ma se io guardo dentro la fogna in cui è stato ridotto il mondo e non me ne rimango annichilito, se nutro qualche speranza, è perché incontro le tracce che lasciano intorno a se quegli uomini e quelle donne, quelli come Tom.
Ecco perché ora sto vegliando e prego. Deve vivere ancora almeno cento anni Tom perché possa sentirsi appagato della sua vita, perché questo mondo pareggi il conto con il suo fare la pace.
Tratto da “Il Secolo XIX” 20 giugno 2004