Maurizio Maggiani: Bolletta a credito

Questa è una piccola storia, dentro questa piccola storia ci possono stare, a disagio, milioni di cittadini. E ci sta, comodamente, una morale, un sistema, e le poche centinaia di persone che lo dirigono. C’è, dunque, un’anziana signora. La signora vive, riesce dignitosamente a vivere, con una pensione di 500 euro mensili. E’ un miracolo che riesca a farlo; è, come si sa, un miracolo che compiono giorno dopo giorno milioni di anziani cittadini.
Cittadini da cui, ragionevolmente, la comunità dovrebbe aspettarsi molto ma non certo che vivano di miracoli. Potete immaginare la vita di questa signora; potete immaginare con quanta disciplina ogni mattina faccia la lista della spesa, a quante cose che le piacerebbero deve rinunciare. Potete immaginare i suoi sogni, le sue angustie, le sue paure. Potete immaginare anche con quale patema d’animo ogni bimestre scruti la buca delle lettere, infili dentro la sua vecchia mano per estrarre la bolletta della luce, del gas, del telefono. Bastano cinque euro in più di bolletta per sconvolgere la sua economia, i suoi piani di sopravvivenza, il suo precario sistema cardiocircolatorio. Ma questo mese la signora ha avuto una lieta sorpresa. Ha ricevuto dall’Acam, l’azienda del gas spezzina, una meravigliosa bolletta con su scritto: -352 euro. Un bingo per la signora. 352 euro di credito, soldi che potrà investire in inaspettati acquisti: un cappotto nuovo per l’inverno, una sdraio da mettere sul poggiolo quest’estate, il ticket per un’ecografia che rimanda da tempo. La signora ha un animo talmente gentile che non si sofferma sul fatto, evidente, che l’azienda del gas, al pari di tutte le aziende che forniscono servizi co lo stesso sistema dei consumi presunti, le ha sottratto quei soldi. Che l’Acam, come l’Enel e tutte le altre, preleva ai cittadini, che loro vogliano o no, dei prestiti forzosi. Che contrariamente a tutte le leggi divine, civili, e persino di mercato, si fanno pagare in anticipo quello che non è detto che forniranno. La signora, felice della bella notizia, si reca a riscuotere quello che le è dovuto. No, cara la mia signora, non è che l’azienda è lì per sganciare soldi come se niente fosse. Quello che le devono lo scaleranno sui futuri consumi, il lucroso, iniquo prestito forzoso deve rimanere un sistema che si riproduce in perpetuo. Sì, volendo, può fare una domandina per avere i suoi soldi. Una bella domandina, dopodiché l’azienda si prenderà 50 giorni per vedere di andare incontro alla taccagneria della vecchiaccia. E’ a tutti ben noto che la signora, qualora ritardasse anche di un giorno il pagamento della bolletta, andrebbe incontro alle adeguate, pesanti penali. L’azienda no, l’azienda non pena. Questa è una delle tante schifezze di questo paese: il cittadino che è schiacciato nella posizione del consumatore e il consumatore che è ridotto a puro oggetto di lucro. Un paese dove è sconosciuto il concetto di equo rapporto fra fornitore di servizi e utente. Ma c’è qualcosa di più, qualcosa che mi saltare i nervi. L’Acam, come tutte le altre aziende, è pubblica, seppur amministrata con sistemi privatistici. I suoi dirigenti sono in gran parte personale politico trasferito lì dai partiti, o su indicazione dei partiti. Dirigenti con alle spalle encomiabili carriere di funzionari di partito o pubblici amministratori. Professionisti della politica rimasti disoccupati – resisi disponibili, si dice – a causa della crisi dei partiti, a causa di sconfitte elettorali, trombature o promozioni per meriti e demeriti di natura squisitamente politica. Sarebbero le persone ideali per dirigere aziende di servizi essenziali per i cittadini: chi se noi i militanti della politica dovrebbero saper difendere i loro diritti? Si fa politica per questo: per il supremo bene dei cittadini. Soprattutto quando si tratta di quadri politici di sinistra, generati da partiti di sinistra, come nel caso dell’Acam e di molte altre aziende. Una generazione di funzionari dei partiti dei lavoratori che si sono trasformati in manager e imprenditori. Naturalmente con i soldi della comunità. E sono arrivati alla convinzione di dover dimostrare a se stessi, alle proprie mogli, di aver imparato come si fa, di averlo sempre saputo. Con il Sole 24p ore sulla scrivania, pensano di essere nati per quel mestiere, e che quel mestiere può essere fatto in un solo modo, l’unico che conoscono: quello dei loro antichi antagonisti. Quando comiziavano nelle piazze in favore dei diritti dei cittadini e tuonavano contro l’iniquo profitto speculativo. Ha dell’incredibile come abbiano dimenticato in fretta lo stile dei loro vecchi tutori, la dirittura e la solidità d’animo e di comportamento, giusta o sbagliata che fosse l’idea che li sorreggeva. E’ stupefacente con quale disarmante incredulità guardano chi ricorda loro che esistono modi diversi di fare impresa, di fare soldi, di fare servizi. Non hanno mai conosciuto il metodo democratico, perché del tutto inefficiente per il buon andamento di un partito, ignorano il senso di equità perché è stato per lunghi anni un serio impedimento alla loro affermazione, non hanno il senso della comunità perché sono stati addestrati al senso dell’elettorato. Adorano invece i benefit, i privilegi, gli emolumenti, le ipocrisie degli avversari, le blandizie dei profittatori con il candore e l’entusiasmo con cui gli ex schiavi neri americani sbarcati in Liberia si sono fatti gli schiavisti dei negri nativi.

“Tratto da: “Il Secolo XIX”, 19 ottobre 2003″