Maurizio Maggiani: L’amore di una donna accanto a una tomba vuota

Questa mattina una giovane donna si è alzata prima che facesse giorno, si è data coraggio ed è uscita per fare quello che doveva, quello che le spettava, quello per cui aveva già pianto tutto quello che poteva piangere. Questa mattina Maria di Magdala, Myriam in ebraico e in arabo, è venuta al cimitero di città per dare le ultime cure al cadavere di un giovane uomo, alla sua tomba, alla sua fine. Maria non è nessuno, non una sorella, non la sua sposa, non la madre; se è lei che viene alla tomba, se i familiari e i molti compagni dell’uomo glielo hanno concesso, è certamente solo perché è colei che lo ama più intensamente tra tutti. Non so nulla della materia con cui è costruito quell’amore, so solo che si conoscono da tempo, da quando Maria è stata guarita miracolosamente da quell’uomo di un suo male oscuro, un male che covava dentro la sua anima, un male che il popolo chiama dei “sette demoni”. L’uomo è un guaritore, ma non solo; si chiama Gesù, ma molti per tutta la Palestina sono sicuri di poterlo chiamare il Messia, il Salvatore, colui che è stato mandato per compiere il disegno divino di salvezza, per redimere un’umanità fatta serva delle sue inettitudini. Di certo è un grande profeta, uno di quei profeti che un popolo sa fare nascere in sé nei momenti più bui, più dolorosi della sua storia. Uno di quegli uomini necessari quando la ragionevolezza, la pazienza, la mediazione non sono più adatte a risolvere alcunché, uomini capaci di fare l’unica cosa che sia possibile in quei frangenti: cambiare la storia, azzerarla e rivoltarla. Uomini che possiedono in sé profezie così vaste da risultare intollerabili al potere costituito della religione, della politica, della cultura dominanti; uomini che vivono per ciò per cui si sentono chiamati fino alle estreme conseguenze, fino a morirne. Rivoltosi implacabili da cui ci si può difendere solo eliminandoli. Così è stato per il Nazareno, condannando a morte e giustiziato ieri l’altro. Condannato a una morte di tortura per blasfemia, per insubordinazione al potere religioso e politico. E’ questo l’uomo che Maria ama, l’uomo che questa mattina va a seppellire definitivamente. E la tomba è vuota, cosparsa solo dei suoi panni funebri. Maria si dispera, chiede aiuto, chiama i suoi compagni. Vengono e non sanno che fare, che dire; se ne tornano a casa, loro che lo hanno seguito fino a ieri in tutte le sue battaglie, gli eredi delle sue profezie. Ma Maria resta, il suo amore è un altro amore. E piange versando quelle lacrime che credeva di avere già consumato. Forse è per via di quel velo di lacrime; forse, più facilmente, come per un’altra donna migliaia di anni e di chilometri lontana, “per non morire al primo incontro”, non riconosce l’uomo che le appare all’improvviso accanto. Finché lui non la chiama per nome: Maria! Sta a ciascuno di noi decidere se quella voce sia del figlio di Dio resuscitato dalla morte secondo quanto lui stesso ha predetto, o quello del profeta rivoltoso scampato alla morte con uno dei molti stratagemmi noti alla farmacopea del suo tempo. Dipenderà da ciò che noi pensiamo di quella apparizione se possiamo di quella apparizione se possiamo considerarci cristiani o no. Ma per tutti, per la storia del mondo intero, resta Maria. E’ solo in virtù del suo amore per quell’uomo che l’ha fatta alzare questa mattina che era ancora notte, che l’ha costretta a restare accanto alla tomba vuota, che oggi il mondo è così come lo viviamo. Con le sue orrende brutture, con le sue meravigliose speranze. Altri profeti sono venuti dopo Gesù ovunque nel mondo, pieni di profezie altrettanto potenti, altrettanto eversivi, altri ne verranno, perché è ancora necessario che ne nascano. Ma c’è stata Maria di Magdala, e nessuno finché durerà la storia può più dire che su quella croce è finito davvero qualcosa. Ciò che può apparire una fine a volte è solo un inizio.

Tratto da: Il Secolo XIX, 20 marzo 2003