Maurizio Maggiani: Fra Festival di Sanremo e Parmalat, io, Grande Pollo

Ottimismo fratelli, ancora ottimismo, mai ottimisti come in questo momento. Se il Festival di Sanremo viene affidato al più grande produttore al mondo di canzoni pop – il mai dimenticato Tony Renis, già autore dell’immortale "dimmi quando tu verrai, dimmi quando quando quando" – se il produttore riesce a portare, come mi hanno appena detto, il presidente Clinton che suona il suo piffero e il presidente Cossiga che, immagino, suona le sue launeddas, che opinione avere, non del produttore, ma di Clinton e Cossiga? Due uomini di straordinario potere e responsabilità, ammirati e temuti a loro tempo come nessun altro, che vanno a umiliare la loro grandezza per accattare un po’ di applausi da un palcoscenico di riviera, spoglio da decenni di vera gloria anche solo canora?
Possiamo solo tacere e constatare con viva soddisfazione che il potere non è eterno, che si può arrivare a mendicare per averne ancora un po’. E che opinione avere invece di noi? Perché pensando a come fare piacere, e audience, a noi che il grande produttore ha pensato a loro. Assai lusinghiera, fratelli. Che forza straordinaria ha un popolo che si sollazza facendo ballare come orsi ammaestrati i potenti della terra! Neppure il profeta Isaia, neppure il compagno Lenin hanno mai osato immaginare tanto. Se, come ho appena letto, il nostro primo ministro si sottopone a una chirurgia plastica per affrontare la campagna elettorale e avere maggiori possibilità di vincerla, se ha bisogno di una maschera per presentarsi al suo popolo, allo stesso modo di un’attrice provata dagli anni e dalle fatiche del suo mestiere che si fa tirare un po’ qui e un po’ là per vedere se ce la fa a strappare un ultimo contratto da primo cast, che giudizio dobbiamo dare di noi? Non di lui, ma di noi, popolo elettore. Visto che il primo ministro ha potenti strumenti investigativi dell’opinione pubblica, e se ha deciso di rifarsi l’espressione è perché gli elettori voteranno quella e non le sue opere o le sue omissioni. Più che positivo, fratelli. Che dire di un popolo che può pretendere tanto dal suo premier: la sua stessa faccia? Che può chiedergli tutto, e che il resto lo ha già avuto tutto. Se come io stesso, il Grande Pollo, posso testimoniare, le nostre banche possono fare la cresta sui tassi ogni volta che la banca europea li abbassa, e poi esercitano lo strozzinaggio con un povero cristo che ha bisogno di pagare l’università al figlio, e poi si mangiano i nostri risparmi intrallazzando con gli imprenditori, i politici, gli affaristi dell’intero globo, chiedendoci anche le commissioni per il bel lavoro svolto, che giudizio diamo, non dell’ABI – l’eccitante Associazione Banche d’Italia – ma di noi, popolo del risparmio? Noi che non ci assembriamo minacciosi davanti alle loro agenzie, che non proclamiamo lo sciopero generale dei risparmiatori, ma che invece continuiamo a strisciare davanti ai loro promotori come pellegrini davanti a Mamma Ebe all’uscita della sua ingiusta galera? Che dire di questo popolo? Forse che siamo l’orrido popolo bue, come si pregia di appellarci il loro scagnozzo a Piazza Affari? Buone notizie, fratelli. Che altro potremmo essere se non un popolo di gente ricca e satolla, che si trastulla con un surplus di allegri denari. Foglietti di carta che chi tra di noi è poeta volentieri spargerebbe dall’alto di una scogliera sulle ali del vento di libeccio. Quando, mesi or sono, le banche irlandesi hanno tardato a conformarsi ai ribassi dei tassi decisi dalla Banca Europea, nel giro di una settimana avevano le folle alle porte e migliaia di denunce nella posta. Quello è un popolo di poveracci! Morti di fame che stanno lì a contare gli euri. I migliori tra noi manco lo sanno che la loro banca si imberta la differenza. Che popolo di signori! Ma se da noi, come mi ha telefonato dieci minuti fa un importante uomo della TV, sono destinate all’insuccesso le trasmissioni televisive "live" dove i concorrenti devono cavarsela in ambienti ostili e raggiungere obiettivi solo in virtù delle proprie forze, ma mietono formidabili successi solo quelle dove possiamo spiare se e quando i concorrenti si caleranno le mutande, si lasceranno andare alla flatulenza, e cercheranno di accoppiarsi tra loro, che giudizio possiamo, non dei produttori televisivi, ma di noi, della nostra anima? Non buono, fratelli, non buono. Da qualche parte stiamo cedendo. E si impone, impellente, un grido d’allarme.

Tratto da “Il Secolo XIX”, 18 gennaio 2004