Sono un ottimista
Sono un ottimista. Ne consegue che sono un cretino. Nonostante ne abbia piena coscienza, il mio ottimismo è immarcescibile, incorruttibile, inaffondabile. C’è una ragione: il mio ottimismo è, diciamo così, di origine fisiologica; non generato e neppure mediato da ideologie, da filosofie e da nulla che sia discutibile o messo alla prova da ragionamenti e dati di fatto. Sono ottimista perché ogni mattino, appena sveglio, mi levo dal letto poggiando a terra il piede sinistro. È così da 15 anni, qualunque sia il letto dove ho dormito, qualunque sia stato l’esito della sera che ha preceduto il mio sonno, qualunque cosa abbia sognato. Quindici anni or sono, dunque, mi sono alzato da letto poggiando a terra il mio piede sinistro e non sono crollato a terra, ma il piede sinistro ha sorretto l’altro, e tutte e due assieme hanno sorretto il resto del mio corpo e lo hanno accompagnato nel mattino, nella vita, nel futuro. È stato una specie di miracolo. Per i settecento mattini che hanno preceduto quello fausto, ho provato la frustrante, orrenda esperienza di piantare ben saldo un bastone su pavimento prima di provare a poggiare il piede. Avrebbe potuto essere così per tutta la mia vita -non poter camminare sulle mie gambe- e fior di medici hanno dedicato molta della loro professione e passione a convincermi “a farmene una ragione”. Non me la sono mai fatta una ragione; ho vissuto settecento giorni concentrato su un’unica ambizione: andare sulle mie gambe fino all’ultima meta, fino al bagno di casa, a cinque metri dal mio letto. Alla fine, nonostante le ragionevoli e lugubri attese della scienza ortopedica, ce l’ho fatta. E da allora non ho mai smesso; ogni mattino metto il piede sinistro a terra e, orgoglioso di me stesso e della mia invidiabile condizione di auto sufficienza, me ne vado in bagno. E di lì ad altre e più lussureggianti mete. Come si fa a non essere ottimisti quando si può apprezzare con la giusta intensità il fatto puro e semplice, ma essenziale, di riuscire a camminare sulle proprie gambe? Così, armato della mia buona fortuna, affronto con animo leggero la vita. Non dico che sia facile; molto spesso non lo è per niente. Questa mattina, ad esempio. Ho trovato il telefono staccato “per motivi amministrativi”. Ho passato un’oretta della mia unica, irripetibile vita in compagnia con il 187 per convincere la ditta di Tronchetti Provera -che alla stessa ora, voglio sperare, se la spassava con la legittima consorte- come io abbia pagato regolarmente le mie bollette. Ho trovato nella posta una fattura della ditta SKY che mi intimava di pagare un abbonamento -che non ho mai contratto e dei cui servizi nulla ho goduto- con la suddetta. E ho trascorso un’altra delle mie irripetibili ore nel vano tentativo di mettermi in contatto con la signora SKY. Subito dopo ho fatto una doccia gelata, non per ragioni salutiste, ma perché la caldaia, sostituita il mese scorso, ha qualche intimo e misterioso problema di messa a punto. Questo nel cuore domestico della mia vita. Poi è venuto il resto, poi ogni giorno viene il resto. Il resto è la realtà così come la conosciamo, la realtà che scaglia il mondo addosso alla nostra vita. Ed è tutto molto più duro delle bollette, dei telefoni e delle docce. Telefono alla signora Mariangela e lei mi dice: mi sveglio al mattino e mi sento bombardata. Si. Alcune parti significative del mondo stanno saltando in aria. Voci autorevoli dicono: siamo tutti nel mirino. C’è una guerra. Forse anche il mio paese è in guerra; non è chiaro, i proclami si confondono, le dichiarazioni si contraddicono. Ci sono diverse guerre, combattute altrove, combattute sotto i miei occhi. Ci sono vittime, molte vittime, tutte sotto i miei occhi. Anch’io mi sento bombardato. Io e la signora Mariangela abbiamo scarse probabilità di finire nel mirino dei kamikaze o degli elicotteri Apache o dei carri armati Shermann, ma ci sentiamo comunque sotto tiro. Credo che molti inermi cittadini si sentano nella nostra stessa condizione. E non è detto che di là dal mirino immaginiamo un membro di Al Queida. Se il giorno del massacro di Nassirya ti rifilano nel tuo ridente paesello la discarica nucleare nazionale, forse ti senti bombardato, vivendo nell’incertezza atroce di individuare il nemico più vicino e pericoloso. Pensateci: possiamo moltiplicare all’infinito i bombardieri che attentano alla nostra vita, alla nostra salute, alla nostra dignità. Viviamo la sensazione del bombardamento a tappeto perché viviamo nell’angoscia di non avere un riparo. Mai un riparo da niente. Riparo da SKY, da Al Queida, dal governo, dalla crisi economica, dalle menzogne. Viviamo molte guerre tutte assieme, sapendo di non averne dichiarata nemmeno una, coscenti di essere in ognuna i più deboli. I soldati americani possono sempre ripararsi nei loro compaund a prova di missile, i presidenti belligeranti dietro una cortina di satelliti spia, i parlamentari con la propensione a delinquere dietro le loro ripugnanti norme di impunità, i kamikaze dietro una moltitudine di anonimi innocenti. Noi dove ci rifugeremo? Noi non abbiamo riparo se non nell’ottimismo. Se abbiamo la forza morale di condurre una vita da cretini, come il sottoscritto. Si può essere ottimisti in tempo di guerra? Si, se camminare sulle proprie gambe è già un grosso risultato della volontà di vivere decentemente. Il punto è: che me ne faccio dei miei piedi, per andare dove devo essere grato di averli funzionanti? Non lo so, giuro che non lo so. Quello che mi ostino a fare è mettermi per strada, anche in tempo di guerra. Tutte le mattine, ostinatamente, superato il primo obiettivo del bagno, oltre la porta di casa, sotto una pioggia di bombe. Un vero cretino.
Tratto da “Il Secolo XIX”, 2003