Maurizio Maggiani: Edilizia da museo

Immagino a questo punto che Genova Capitale Europea della Cultura non avrà il prossimo anno il suo Museo del Mare. È un peccato: era stato molto voluto, e molte attese e speranze della città avevano confidato nella sua tempestiva inaugurazione. Ma, forse, non tutto è perduto e oggi, alla luce di quanto è appena accaduto, mi sento di fare alle società e alle amministrazioni interessate, una modesta proposta. Sulle macerie, sotto le macerie, in mezzo alle macerie della fu ala nuova dell’ex erigendo Museo del Mare, macerie che vedo anche in questo momento sbirciando di sbieco dalla finestra del mio studio, venga edificato in tempo record un Museo dell’Edilizia.
Ho contato sedici musei del mare e della navigazione nel territorio nazionale; è probabile che ce ne siano degli altri, dispersi in qualche Comunità Montana o negli anfratti di vecchie ville isolane, ma non mi risulta che esista già un Museo dell’Edilizia. Sarebbe il primo quello di Genova, e sarebbe opportuno. Costerebbe poco. Molte delle tecnologie multimediali previste per dare un tocco di spettacolarità al Museo del Mare, potrebbero essere riutilizzate proficuamente nel nuovo. Simulazioni tridimensionali computerizzate progettate per restituire l’ebbrezza di una tempesta a forza nove goduta dal ponte di prima classe, o la magica atmosfera di una cena di gala al tavolo del comandante, possono, con piccoli ritocchi, dare l’idea, vivida, del volo di un carpentiere dalle impalcature a trenta metri di altezza. O la frana di tre piani di cemento sopra il corpo di un manovale. Ci sono in commercio software che non solo riproducono l’azione, ma anche il pensiero. A cosa pensa un uomo che sta precipitando nei trenta secondi che ha a disposizione prima di toccare il suolo? A cosa pensa un uomo nei cinque secondi di inquietanti scricchiolii che lo separano dall’arrivo di cinquanta tonnellate di detriti? Sono temi altamente interessanti, istruttivi per i giovani come per gli adulti. Ma si può anche lasciare lo spazio per il giuoco. Con poca spesa si possono elaborare simulazioni di come si lavori all’edificazione di un tetto verso le tre del pomeriggio del 10 agosto. Come si imbullona un’impalcatura alle sei di sera di un sabato di pioggia di gennaio. Si possono creare spazi fitness dove gli sportivi si esercitano alla pratica dello sfattazzo, alla piegatura dei tondini, al montaggio rapido di tubi Innocenti. E una sezione audiovisivi, e una storica. Una mostra permanente di gamelle e di boatte; una dei tipici cappellini fatti con il giornale; una di cessi da cantiere. Eccetera, eccetera.
Il mare non è universale, l’edilizia si. Il mare non si spinge oltre le coste, l’edilizia si dispiega ovunque, perché ovunque c’è bisogno di case, di musei, di ospedali, di facciate e tetti. Per fare quelle case e tutto il resto ogni anno muoiono almeno 250 uomini. Da quando sono nato io sono morti 15000 uomini. È una quota che ci fa grandi in Europa, sempre a contenderci il primo posto con Grecia e Portogallo. Sto scrivendo che ancora non so se quel poveraccio laggiù è vivo o morto. Ma una cosa la so. Comunque vada è solo uno dei tanti. Nessuno si commuova; lo facciano le autorità competenti per mezza giornata, e finiamola lì. Altrimenti dovremmo fare qualcosa e qualcosa non lo faremo. A chi mai gli frega davvero di come lavorano quelli a cui chiedi di costruire i musei della città, rifare la facciata della tua casa, edificare la bifamiliare che hai già prenotato? C’è qualcuno che si sofferma a chiedersi come mai vede lavorare un muratore il sabato, la domenica, alle sette di sera, alle sei di mattina? La vigilia di Natale? A cottimo? Per quanta lira? C’è qualche autorità che riflette, davvero, su come si lavora nei sub appalti, nei sub sub appalti? A meno che non consideri il risparmio che ci ricava? Si costruisce già così poco, che non è il caso di andare troppo per il sottile. E popi è così che si lavora, è così che gira il bissniss. L’impresario ha bisogno della BMW da 100000 euro per sentirsi motivato a fare azienda. Chi gliela paga, se non il muratorino?
Metterei sul frontone del Primo Museo dell’Edilizia, una lapide di marmo con la sentenza di pochi giorni fa che ha accorciato di molto la pena a un imprenditore che ha dato fuoco, e ucciso, un suo operaio che chiedeva di essere messo in regola. Non gli sono stati addebitati i "motivi abbietti" della sua azione. Non c’è niente di abbietto nel difendere il bissniss dall’assalto della manodopera sediziosa. Gli metterei accanto la lapide con i versi di una vecchia canzone. Racconta di un muratore che si alza la mattina per andare a lavorare: saluta sua moglie "come fosse una regina", saluta il figlio "come fosse un principe", attraversa la strada "come fosse un danzatore", vola giù dal sesto piano "come fosse un passero". Non un falco, non un albatros, solo un passero.

Tratto da “Il Secolo XIX”, 9 novembre 2003