Maurizio Maggiani: Qualche domanda sui perché di una guerra
Immagino che per qualcuno tra voi possa risultare difficile, forse anche innaturale, ma vorrei pregarvi, amici lettori, di considerarvi per qualche minuto quel genere di cittadino medio un po’ astratto, un po’ fittizio, così adatto alle prospezioni sociologiche, che non ha nessuna spiccata tendenza e pulsione circa le sorti dell’umanità, ma molto proteso su di sé, sulla propria sorte, sul proprio futuro. Non siete pacifisti, né guerrafondai; la parola guerra – se non è combattuta contro di voi e ciò che amate – non suscita in voi emozioni forti. Se combattuta altrove non avete abbastanza fantasia per vedere la guerra con gli occhi delle sue vittime o, addirittura, pensate assieme alla signora Condoleezza Rice che "500.000 vittime civili siano un doloroso ma necessario sacrificio".
Concentratevi su voi stessi, non sull’astratto pietismo; provateci, perché vorrei farvi qualche domanda. Qualche domanda su come ve la passate in questa vigilia di guerra, su come ve la passerete durante e dopo la guerra che oggi i bookmaker danno al 97% delle probabilità. Ditemi: non vi sentite un poco a disagio, non avvertite che qualcosa non va? Qui da noi, non laggiù in Iraq. Non vi sentite trattati come degli idioti? Anzi, non vi sentite quasi in dovere di esserlo?
Chiedetevi questo. Stanno cercando le armi di orrenda distruzione di massa che Saddam forse nasconde, forse no. Gli ispettori chiedono di poterle cercare con comodo per dimostrare al mondo l’una cosa o l’altra, il presidente Bush, e il nostro primo ministro tra altri, dicono che è Saddam che deve dimostrare di non averle.
Se voi vi trovaste davanti a un tribunale che invece di incaricarsi di dimostrare la vostra colpevolezza, pretendesse da voi che dimostriate la vostra innocenza, non vi sentireste, come dire, in un perverso, kafkiano sistema giudiziario?
Chiedevi quest’altro: le armi chimiche, batteriologiche ecc. sono servite a Saddam per commettere atrocità di ogni genere. Quelle armi gliele abbiamo date noi perché commettesse quelle atrocità di cui siamo stati a suo tempo debitamente consenzienti. Se è giusto punire Saddam per questo, perché non dovremmo punire noi stessi per averlo messo nelle condizioni di farlo? Vi sentireste a vostro agio in un Paese dove viene punito chi commette il delitto e assolto chi gli ha fornito l’arma per compierlo? Vi sentite davvero a posto ad accordarvi un’impunità perenne, ad assegnarvi lo status di irresponsabili per tutto ciò che avete causato e permesso che accadesse?
Chiedetevi ancora: vogliamo portare la democrazia in Iraq, a costo di raderlo a zero. Se davvero non esiste una via meno macabra per il trionfo della democrazia, perché allora, invece di bombardarli a tappeto, abbiamo fino a oggi lavorato alacremente ovunque nel mondo, in quel mondo, da Timor alla Liberia, al Guatemala ecc.ecc. solo per instaurare o mantenere in vita delle dittature, teorizzando che la democrazia tra i popoli "immaturi" è solo fonte di instabilità e grattacapi di ogni genere? Perché le dittature africane e asiatiche, perché i battaglioni della morte latinoamericani hanno usato e usano armi che gli abbiamo venduto noi? Questo sta accadendo oggi, non ieri, in contemporanea con il nostro slancio di democratizzazione globale. Quanta fiducia pensate di poter nutrire nella sete di democrazia e giustizia nello staff dirigenziale di un’industria armiera?
Chiedetevi ancora una cosa: Saddam non è il primo capo di stato arabo ad essere appellato come novello Hitler dall’Occidente. È toccato anche al presidente egiziano Nasser all’epoca della crisi di Suez e al colonnello Gheddafi fino a ieri. Lasciate perdere Nasser che nell’Enciclopedia Brittannica oggi viene menzionato come il padre dell’Egitto indipendente e uno dei massimi leader del movimento dei non allineati, un grande della storia contemporanea. Pensate a Gheddafi, ieri dichiarato mandante di orribili stragi di innocenti, a cui oggi il nostro primo ministro chiede di mediare tra Usa e Saddam. Come vi sentite a vivere in un mondo dove Hitler in capo a dieci anni diventa Babbo Natale? E il rapporto ufficiale del governo inglese sulle armi in possesso a Saddam scopiazzato da Internet? E la comunicazione priva di informazioni?
Sapete che qualche mese dopo la fine della prima guerra del Golfo la Cnn ha scoperto che il filmato fornitole dal Pentagono sulla violazione delle incubatrici all’ospedale di Kuwait City era stato girato nell’ambasciata di Kuwait a Washington e la principale attrice, nella parte della madre disperata, era la figlia dell’ambasciatore? Vi siete accorti che gli stessi leaders che invocano la volontà del popolo contro i poteri forti della giustizia, ad esempio, non danno il minimo segno di recepire che la grande maggioranza del popolo è contraria alla guerra, almeno così come la si sta teorizzando? Questi leader dicono – impudicamente – che a cose fatte il popolo capirà. Come vi sentite nelle vesti di quel popolo? Non vi sentite un tantino insicuri? Non per le sorti del mondo, che da cittadini medi poco vi importa, ma per voi stessi.
Lasciate perdere l’Iraq, che è laggiù, pensate piuttosto che la stessa visione del mondo e delle leggi per regolarlo possono essere usate per regolare e governare voi. Perché no? È un buon sistema per risolvere i problemi in fretta: troppo chiasso sull’autobus e l’autista ha bisogno di essere lasciato in pace. Il ministro dell’economia Usa ne è già convinto; teorizza la "democrazia sostenibile", ovvero: troppa democrazia indebolisce la crescita economica. Per quanto tempo vi sentirete sazi e felici in un mondo così?
P.S.Un’ultimissima domanda: siete davvero convinti che oggi si possa essere fieri avversari dell’Amministrazione Bush senza essere antiamericani? Non vi capita di avvertire nella voce e nel tono di chi pronuncia sui media la parola antiamericano qualcosa che assomiglia molto al tono con cui gli stessi dicono, ad esempio, antisemita? Non vi sembra che antiamericano oggi suoni colpa irreversibile e mortale? Posso io, cittadino medio, detestare il presidente Bush senza sentirmi un delinquente razzista e ingrato?
Tratto da “Il Secolo XIX”, 12 febbraio 2003