Maurizio Maggiani: Vuoi mettere la pizzeria al posto del caffè letterario?

Hanno aperto una nuova pizzeria in centro a Genova, l’hanno aperta in piazzetta delle Erbe, una buona notizia, ottima. Di pizzerie non ce ne sarà mai abbastanza in una città civile e democratica a forte vocazione turistica, e noi ceti medi a reddito sofferente andiamo pazzi per le pizzerie, e vaghiamo senza sosta fino alle profonde periferie in cerca di locali dove, tanto per cominciare, la pasta sia fresca e non surgelata e la mozzarella vera mozzarella e non formaggio fuso per preparati da forno; dove, tanto per finire, il costo di una pizza e una birra non sia aumentato nell’ultimo anno del 40 per cento.
E non c’è alcun dubbio che una pizzeria nel cuore del centro storico era attesa da tempo, soprattutto lì, in Piazzetta delle Erbe, cuore sofferente del cuore. Piazza tra le più belle e fascinose, da anni in pieno moto di riqualificazione, da anni assediata dalle retroguardie del degrado. Aprire un locale pubblico è aprire un presidio di legittimo consumo di beni a pagamento, è un atto di straordinario contrasto ai turpi consumi illegali, è dare luce e motivazioni alla notte e alle incertezze, è civiltà.
È colmare un’asimmetria in uno spazio urbano che racchiude nel suo scrigno una cremeria, due bar, un ristorante, una trattoria, due caffè con tavola calda e fredda, e nemmeno, fino a ieri, una sola pizzeria né un solo segno di architettura dell’attualità, di estetica della contemporaneità.
Se non bastassero le altre ragioni, un occhio sensibile al bello non può che trarre un immenso piacere nel constatare come il nuovo insediamento bilanci mirabilmente la vetusta e classista presenza di una libreria antiquaria dirimpettaia, smorzando con la gaiezza del suo profilato in alluminio democratico e popolare la mestizia legnosa dell’aristocrazia. Essendo proprietaria degli ampi e ben strutturati locali dove ha sede la pizzeria, la comunità cittadina, un plauso vivo e sentito alla città. Senza alcun ma, senza alcun se.
Dopodiché vorrei chiedere alla città, con il dovuto rispetto di un ospite grato, se sia mai venuta a conoscenza, se sia mai stata sfiorata dal sospetto, di altri, bizzarri, certamente esotici modi con cui gli umani, altrove in Europa e nel mondo, hanno inteso e intendono qualificare il territorio urbano, sconfiggendone il degrado, innalzandone la qualità del vivere, sviluppandone le potenzialità creative, arricchendone le opzioni culturali. Lo chiede, ripeto, un uomo che va pazzo per la pizza. E non lo chiede alle autorità, che, per loro stessa natura, non hanno l’obbligo di essere sempre intelligenti, ma alla collettività che invece quell’obbligo dovrebbe sentirselo, alle decine di migliaia di umani che vivono pensando in questa città, che nutrono interessi, aspettative, bisogni non tutti riconducibili alla qualità della pasta e alla natura del formaggio; umani che hanno risorse, disponibilità, potenzialità.
Tutto quello che sapete inventare in uno spazio prezioso, indispensabile, raro, di vostra stessa proprietà, nel cuore della città di cui anelate future progressive sorti e piangete la modestia delle presenti, è una pizzeria?
Scrivo appena tornato a casa dopo la gita in piazzetta delle Erbe. Nel tragitto di 10 minuti fino all’ascensore di Castelletto, mi sono venute in mente le seguenti alternative. Lì poteva essere aperta una videoteca di repertorio mondiale, con caffè, aperta 24 ore su 24, con proiezioni a programma e su richiesta. Poteva sorgere un centro di documentazione e di esposizione dedicato alle nuove generazioni di artisti europei e alle loro sperimentazioni, anche quello con caffè. Una biblioteca letteraria italiana aperta fino a notte fonda con annesso caffè letterario.
Nell’ascensore ho pensato alle dieci altre cose che sarei andato volentieri a sentire, vedere, fare e persino comprare lì. Non sono un organizzatore culturale, non sono un genio estroso, mi ricordo solo di quello che vedo e faccio volentieri in giro per l’Europa, in città assai spesso di aspirazioni più modeste di questa. Alternative frutto della iniziativa privata e anche del concorso pubblico, create non a scopo di speculazione ma di onesto ricavo, e, nel caso dovuto, a costi assai limitati per la comunità. Costi che la comunità si addebita volentieri perché assicurano altissimi interessi in fatto di qualità del vivere e del crescere. Questo altrove.
In quell’altrove, ci giurerei, se ci fosse nei paraggi una facoltà di architettura, nella tragica eventualità dell’apertura di pizzerie nella locale piazza delle Erbe, si vedrebbero i suoi studenti impegnati in un sit in di protesta. Capeggiati, gli studenti, dai loro emeriti professori e fiancheggiati dagli abitanti del quartiere, dalle associazioni culturali cittadine. Fra due anni appena Genova sarà capitale europea della cultura; serviranno in centro almeno altre venti pizzerie per sfamare le moltitudini che accorreranno a contemplare i suoi splendori. Chissà se riusciranno ad aprire per tempo.

Tratto da “Il Secolo XIX”, 17 gennaio 2003