Maurizio Maggiani: Il Paese ha paura ma non sa perché
Da ieri so qualcosa di più sul mio Paese, qualcosa di eccitante ed esclusivo: so che ha le pile scariche. Sono venuto a conoscenza della conturbante novità proprio nel momento più adatto, mentre mi aggiravo tra gli stand di un grande magazzino di Parigi alla ricerca di pile per la mia macchina fotografica. Sono letteralmente ossessionato dal problema delle pile:le pile del computer, quelle del telefono, del walkman, della macchina fotografica.
Parto per il mondo equipaggiato come uno shuttle, ma posso star certo che nel giro di una settimana mi troverò con qualcosa i essenziale che si è spento, inutilizzabile, pura zavorra. Il fatto è che pensi di essere un utilizzatore di strumenti al servizio della tua intelligenza, e sei nient ’altro che una centrale elettrica al servizio di apparecchi che fanno i loro porci comodi sulle tue spalle. La prima cosa che fai entrando in una camera d’albergo dopo un lungo viaggio ormai non è più cercare la tazza del water, ma affannarti a trovare la spina per mettere in carica il cellulare.
Dunque cerco ste maledette batterie per la mia stramaledetta macchinetta, e inciampo nel banco della stampa estera e sul titolo di un giornale del mio paese:Italia, un paese con le pile scariche. Come no, eccomi qua. Già, solo che non è la lodevole denuncia della mia personale condizione, ma, mi compro il giornale, l’immagine del paese intero come è piaciuto sintetizzarla al Censis nel suo rapporto annuale sullo stato della nazione. Un’immagine orribile i un brutto paese. Un paese, il mio paese, che ha paura e non sa bene di cosa aver paura, e allora ha paura di tutto. Di tutto tranne che di se stesso.
E questa è la sua attuale tragedia, perché proprio di ciò che è, che si è ridotto ad essere, dovrebbe aver paura. Della sua incredibile, tragica povertà i tutto ciò che serve a costruire un’idea positiva, dignitosa di nazione: povero di scuola, povero di ricerca, povero di pensiero, povero di alternative, povero di politica. Un paese che dispera, dice il Censis:dispera di che? Quali sono state le sue speranze? Almeno fino a ieri, se mi mettevo in ascolto del mio paese, del suo grande ventre gonfio di buon cibo e ottima televisione, sentivo forte un anelito speranzoso a farla franca, a gabbare lu santo, ad aver estratto il biglietto giusto della Grande Lotteria. Sono forse queste le speranze che fanno grande un popolo, che lo proiettano nel futuro? Continuo a leggere il rapporto e scopro un paese che vive nella condizione psicologica i quegli anziani che stracciano, amareggiati e furenti, i loro bollettini del lotto davanti al tabellone della ricevitoria che li ha traditi. Non verranno dalla loro frustrazione nuove speranze. Sono cresciuto negli anni Cinquanta di questo paese, epoca di grandi ristrettezze economiche, politiche e anche culturali. Ma sono cresciuto educato, e non solo dalla mia famiglia, ma dall’aria che respiravo attorno a me nel tessuto sociale, come si dice, all’idea che era dovere mio di tutti fare meglio, fare i più con le mani e con la testa. Che era mio diritto liberarmi della pochezza,attendermi dalla vita qualcosa di meglio.
E questa è stata un’idea assai diffusa, che apparteneva a uomini e donne che votavano assai diversamente tra loro. E oggi vivo in un paese che è andato in massa a votare usando la scheda come un cornetto porta fortuna e la cabina come una ruota della fortuna. E che oggi, disperato com’è, non potrebbe fare molto iversamente, perché non ne avrebbe semplicemente la forza. Si è talmente convinto i ciò di cui lo hanno voluto convincere, che dovrebbe fare uno sforzo sovrumano per ritornare a pensare la vita e non a vagheggiarla. Un paese che pensa. E chi mai, oggi come oggi, ha intenzione di offrirgliene la possibilità? Di dargli anche solo il tempo per farlo.
Un altro titolo del giornale recitava: Esplode la rabbia operaia in tutto il paese. Un titolo da anni 50, anni 60. Pensate: secondo i più accreditati sociologi e politologi del paese la classe operaia non esisteva neanche più, e da un bel pezzo. Pare che esistesse, ce n’è tuttora ancora un po’, pare che sia rabbiosa. Era,evidentemente, solo trasparente:nel paese delle lotterie le fabbriche si notano poco. Così come nel paese della paura e della disperazione si nota poco una generazione, l’ultima, trasparente a tutti tranne che a se stessa, che forse sceglierà i vivere piuttosto che sopravvivere,visto che anche sopravvivere ha oggi un prezzo proibitivo,almeno per quanto riguarda la ignità.
Tratto da Il Secolo XIX, 8 dicembre 2002