Maurizio Maggiani: Ragazzi senza capi né parole d’ordine

Se vedi la cosa, se osservi questo venti di luglio dal punto di vista più facile, più semplice, più televisivo, allora praticamente non è successo niente: hai visto alla tivù? C’era un sacco di gente a Genova, meno male che non è successo niente.
Niente di male a pensarla così. E, date le premesse, dato l’altro venti di luglio, questo non poteva che essere il primo sguardo di ognuno, impegnato, disimpegnato, avverso o amico che fosse di quel sacco di gente. Al secondo sguardo, allo sguardo tattile di chi queste giornate se l’è volute anche vivere, anche solo per cercare di capire, allora qualcosa è invece successo. Visto che non si è dedicata a violenze vandaliche, sommosse ed eversioni, in che modo si è occupata, come ha passato il suo tempo questo mare di gente?
Sì, un mare di gente, e in questo mare una quantità inimmaginata dagli istituti di ricerca sociologica, dai partiti di governo e di opposizione, di ragazzi. Ragazzi senza bandiere e senza leader, ragazzi senza parole d’ordine e senza ricordi che possano andare più in là del 20 luglio scorso.
Ragazzi che dovrebbero starsene a casa a guardare la televisione, a consumare i soldi dei nonni in molti interessanti prodotti elettronici e di abbigliamento, a fornicare con moderato entusiasmo.
Cosa hanno mai fatto questi ragazzi fuoriusciti dal sicuro sentiero del buon senso? Secondo me si sono dedicati a crescere, sono cresciuti ancora un po’. Parlando, ascoltando, camminando, giocando tra loro e con la città che li ha così benignamente ospitati e, nel fare tutto questo, pensando. Pensare fa crescere bene.
Ciò che produce il loro pensiero non si traduce ancora in oggetti politici particolarmente attraenti, non molto appetibili per i sapientoni della mia generazione, per quelli che hanno già capito, che sanno come va il mondo e come bisogna governarlo; non nego che io stesso, certi momenti di questi giorni posso averli trovati "carini" e persino patetici nella loro innocenza così vistosamente diversa, così estranea alla mia dolente coscienza, alla mia stanca scienza.
Ma il fatto è che loro stanno crescendo e io l’ho già fatto da un pezzo, che loro hanno tutto il tempo di una generazione per farlo. E forse lo faranno bene, forse no, chissà. Dipenderà da loro e da quello di buono che avranno a disposizione; e ho la certezza che dovranno cercarselo loro quel qualcosa di buono, e con grande fatica, visto che vivono in un paese e in un mondo criminosamente avaro di cose buone.
Già, è probabile che non abbiano lezioni esaustive da dare ai grandi della Terra, per il momento almeno, ma quali lezioni non dico esaustive, ma anche solo decenti, abbiamo da impartirgli? Cosa gli abbiamo offerto per il loro debutto nella vita, nel mondo? Ascoltano quei ragazzi, quel mare di ragazzi, chi pare a loro, siano scienziati, preti, scrittori; ascoltano e pare che ci tengano a farsi di ciò che ascoltano una personale idea, o suggestione.
È per questo, credo, che non hanno né uno slogan, né una bandiera, ma molti e assai temporanei. È per questo che non si prestano efficacemente ad essere intruppati sotto lo sguardo vigile di un leader. È per questo che sono insopportabilmente diversi da come sarebbe bene che fossero per le necessità politiche correnti. C’è una cosa che mi ha fatto impressione ieri mattina in piazza Alimonda. È stato il gelo, il gelo tremendo che ha accolto l’onorevole Violante. Violante non è un mascalzone, né un nemico del popolo. È un’onesta e brava persona. Ma non ha alcuna possibilità di essere accolto, riconosciuto, ascoltato da quel mare. Non c’è frattura da ricucire, c’è solo estraneità.
Quello che questi ragazzi forse ancora non sanno è la responsabilità tremenda che gli è toccata in sorte, per se stessi e per il mondo intero: dovranno ricominciare da capo. Non solo vogliono farlo, ma ne saranno costretti. Nessun uomo probo, nessun saggio tra chi li ha governati e li governa ha qualcosa di sensato e decente da offrire per quello che sarà il mondo quando loro avranno finito di crescere.
E mi ha impressionato un’altra cosa, adesso che ci penso. Proprio ieri mattina il Wall Street Journal ha pubblicato un lungo reportage che spiega come quest’anno nel Mali moriranno di fame un bel po’ di persone a causa della caduta del prezzo del cotone, unica ricchezza di quel paese. Il prezzo crollerà perché il presidente Bush ha raddoppiato le sovvenzioni ai cotonieri americani che potranno vendere nel mondo il loro prodotto per due soldi. Concorrenza sleale, uso mortale della potenza economica, le identiche parole che ho ascoltato poco dopo da questi ragazzi. E credetemi, il Wall Street Journal non è l’organo del partito comunista d’America e il suo direttore non è uno sciocco idealista no global. È solo un uomo d’affari di una certa intelligenza che si sta chiedendo quanto ancora durerà.
Maurizio Maggiani

“Tratto da “il Secolo XIX” del 21 luglio 2002″