Maurizio Maggiani: Contro la fame a parole

Da qualche giorno alla radio sta passando una pubblicità etica a cura della Presidenza del consiglio. Con il sottofondo musicale di un languido gospel, una voce calda e melodica ci annuncia che da oggi si riuniranno a Roma, al vertice FAO, i capi di stato di tutto il mondo con la ferma intenzione di sconfiggere fame e carestia. L’idea è un po’ quella della pubblicità natalizia della Coca Cola: pace e bontà, mistiche note e candeline accese. È probabile che l’intenzione dei capi di stato sia proprio quella che ci sussurra il coro: chi mai può essere a favore della fame? Mi correggo: chi mai è a favore della fame del proprio popolo? Nessuno, naturalmente, nemmeno il più folle dei dittatori. Sulla fame degli altri, in effetti, le opzioni possono essere più modulate, visto che l’affamamento dei civili è diventato un sistema piuttosto usuale di belligeranza.
E non solo da parte di paesi barbari ed eserciti abbruttiti; ad esempio, gli incaricati ONU addetti al programma di aiuti umanitari all’Iraq denunciano da tempo che USA e Inghilterra impediscono un efficace sostegno alimentare ai bambini iracheni. L’unica guerra di cui si parlerà al vertice FAO sarà comunque la santa guerra contro la miseria. Si parlerà, si, e lo si farà a più non posso, in tutte le lingue del mondo. Si parlerà, si pranzerà e si brinderà a nuovi e proficui accordi ed intenti.
E molti tra i politici del terzo mondo a Roma convenuti, spenderanno per parlare, pranzare e brindare abbastanza da sfamarci per un anno un’intera baraccopoli del loro paese. Naturalmente, parleranno di fame parecchie brave persone; ma parleranno anche molti affamatori, indifferentemente di pelle nera, gialla e bianca. Elemosineranno pane per i loro popoli e ingrasseranno le loro famiglie, chiederanno aratri e li trasformeranno in kalashnikov. Tutti i più grandi venditori di armi del mondo offriranno del pane ai loro clienti, così come saranno presenti i detentori dei brevetti Ogm con i loro nuovi e più convenienti listini. Il più bel discorso e il più vibrante lo farà certamente il segretario dell’ONU, fiducioso di poter almeno incassare le rate arretrate; e, privo com’è della dignità di un potere reale sulle nazioni associate, punterà diritto a conservare ciò che ancora gli resta: la faccia. Tutto questo andrebbe anche bene, se solo servisse a qualcosa.
La verità è che la FAO, l’esercito mondiale contro la fame, la sua guerra la sta perdendo alla grande. C’è più fame oggi nel mondo che venti anni fa, tanto per cominciare. Guardando le statistiche dell’indice denominato “sicurezza alimentare e alimentazione infantile” si scoprono addirittura delle new entry tra chi oggi sta peggio di ieri. Alcuni paesi dell’ex impero sovietico, ad esempio; paesi asiatici come l’Uzbekistan e il Turkmenistan, e paesi dell’Europa, come l’Ungheria e la Bulgaria. Il paradiso – fiscale – delle Bahamas nutre i suoi figli al livello degli inferi. E così, oltre all’Africa, gran parte dell’America Centrale, il cortile di casa del paese più obeso del mondo. Amara constatazione il fatto che da quando l’impero del Bene ha vinto sull’Impero del Male, per una buona parte del globo non ci sia motivo di gioia alcuna. Ma ci sono buone ragioni per questo. Durante gli anni di quella che chiamiamo Guerra Fredda o Coesistenza Pacifica, a seconda di chi è a ricordarlo, i due padroni si tenevano buoni i paesi satelliti lungo le delicate frontiere del Terzo Mondo, sborsando quantità ingenti di aiuti di ogni genere, compreso un po’ di pane.
Oggi non è più necessario, oggi nessuno può più passare dall’altra parte. Oggi la teoria dello sviluppo neoliberale sancisce quanto segue: i poveri devono diventare poveri alla disperazione in modo da sviluppare le energie necessarie a reagire al loro stato; finché non saranno abbastanza poveri per farlo, continueranno a poltrire nella rassegnazione. Il ragionamento non fa una grinza, salvo constatare il fatto che l’auspicata reazione al momento si manifesta sotto forma di una fuga di massa in cerca di pane di gente molto arrabbiata, oltreché disperata. Ed è sicuro che non ci sono, almeno al momento, abbastanza cannoniere da fermare questa gente sul bagnasciuga dei paesi satolli. Non c’è alcuna possibilità che la situazione attuale della distribuzione dei beni nel mondo possa essere tollerabile. Questo non lo dice Fidel Castro, ma il fondo Monetario Internazionale, che recita il suo mea culpa tenendo alla mano i dati annuali del PIL dei paesi del Terzo Mondo. Lo sconfortante PIL di mezzo mondo in epoca di globalizzazione. Che al momento ha come straordinaria funzione stabilizzatrice, quella di arricchire i ricchi e impoverire i poveri.
Oggi, mentre muore di fame un umano ogni ventinove secondi, i paesi sazi producono più cibo di quanto ne basterebbe all’umanità intera. Questo a dir le cose come stanno. Dopodiché ascolteremo annunci di storiche decisioni che andranno ad aggiungersi agli splendori riposti di molte altre storiche decisioni. In attesa di nuove cifre di nuovi affamati. Il fatto è che per sfamare il mondo occorrono decisioni storiche per davvero, decisioni che non si prendono. Una in particolare. L’occidente sa da almeno due secoli che non c’è sviluppo, non emancipazione dai bisogni del corpo e dell’anima, senza libertà, e non c’è libertà senza democrazia formale e sostanziale. La democrazia globale è l’unica efficace strategia perché il mondo possa garantirsi il pane; solo equità e giustizia possono sfamare.
Ma la democrazia è un privilegio che oggi l’Occidente non intende spartire, se non a parole, nei brindisi, negli storici incontri.

Tratto da “il Secolo XIX”, 10 giugno 2002