L’opinione di Maggiani: Onore a Giuliani, l’uomo che si è fatto comunità

L’altra notte, in diretta da casa sua, il presidente Bush si è rivolto anche a me. Lo ha fatto a muso duro, senza nemmeno guardarmi in faccia. Attento figliolo, mi ha detto, deciditi in fretta: o con l’America e la civiltà o contro l’America e la barbarie. Ho il mio carattere, non mi piace che mi si parli così. E ho reagito ancora una volta d’istinto. La faccia in fiamme, il groppo alla gola, gli ho gridato: Ah, è così che la vuoi mettere? Cosa ne sai te di civiltà? E sai cosa ti dico? Ho spento il televisore, ho cancellato la faccia dell’uomo più potente e più ignorante del mondo e ho cercato di pensarci su con un po’ di calma, di ragionare.
Cosa sono io, filo americano o anti americano? Che cosa significa essere l’una o l’altra cosa? Sto scrivendo con un computer progettato e costruito a Cuppertino, California. Il suo logo mi dice: "Think different". Può sembrarvi singolare, ma così come è stato progettato, il mio computer mi aiuta realmente a pensare in modo differente. Finito di scrivere non vedrò l’ora di potermi mettere a leggere il romanzo che ho qui davanti, uno dei più belli che abbia mai letto, di uno degli autori che più amo, americano. Americano come gli altri tre o quattro per cui vado pazzo. La musica che più mi coinvolge, l’arte che più mi affascina, il cinema senza il quale mi sciuperei di tristezza, sono americani. La dichiarazione di indipendenza più bella e più saggia che sia mai stata proclamata è americana.
Se tutto questo è civiltà, io sono filo americano. I covi dei terroristi taliban che gli Stati Uniti, a Dio piacendo, si apprestano a spianare, sono stati a suo tempo messi su e finanziati dagli Stati Uniti per vincersi la loro guerra contro l’Urss. Bin Laden era della partita. Arabia Saudita, Pakistan, Emirati Arabi, i massimi sostenitori dei talibani e protettori dei loro scherani, sono tra i più intimi amici e soci d’affari degli Stati Uniti. Le dittature più schifose del terzo mondo, sono benignamente tollerate dagli Stati Uniti. I più grandi dissipatori dei beni comuni a tutti gli uomini del pianeta, sono gli americani. La Cia, non fosse bastato il resto, ha spacciato per anni droga ai cittadini americani neri per finanziarsi le sue operazioni coperte contro Cuba. Se questa è civiltà, io sono anti americano.
E dunque? L’America è destinata ai miei occhi ad essere indigeribile? No, c’è dell’altro, c’è oggi almeno un’altra cosa. Dopo l’11 settembre l’America è riuscita a insegnarmi qualcosa di buono, qualcosa di prezioso, qualcosa che io non ho, qualcosa che manca al mio Paese e a me. Penso a New York, a quello che è successo nella città e neila sua gente. Penso al suo sindaco. Loro mi hanno insegnato qualcosa di veramente buono: un’idea positiva, trionfante, di comunità.
Non mi è mai piaciuto un granché il sindaco Giuliani, ma questi giorni gli ho voluto bene. Lo dico a costo di espormi al ridicolo. So che in questi giorni l’ho visto sempre dove doveva essere: nella realtà e non su un palcoscenico. Ha fatto quello che doveva fare: ha fatto, non recitato. Ha detto: avrei voluto morire prima che questo accadesse. Io gli ho creduto; i suoi concittadini altrettanto. Molti di loro avrebbero voluto ugualmente. E la comunità ha riconosciuto se stessa nel suo sindaco, perché il suo sindaco si è fatto comunità. Non ha avversari la comunità quando lavora per se stessa, per tutta se stessa. Vivo in un Paese dove è urgente imparare qualcosa dall’America in fatto di amore per la comunità a costo di se stessi. Lo dice l’anti americano che lotterà finché potrà perché la civiltà sia qualcosa di più esteso e complicato della faccia di G.W. Bush.

Tratto da “il Secolo XIX”, 25 settembre 2001