Ho dato un’occhiata allo scatafascio che dovrebbe essere il mio articolo e scopro che è dal 2001 che scrivo su questo giornale in occasione della Festa della Liberazione. Di quell’articolo di vent’anni fa non cambierei una virgola, non lo farei nemmeno per quelli successivi, uno dei più vecchi potrei riproporvelo pari pari e credo che nessuno se ne accorgerebbe, sono i soliti discorsi, i miei discorsi. La Festa che è sempre meno festa, i comunicati ufficiali, le commemorazioni, che si fanno sempre più inespressivi, rituali, riti che si vanno consumando man mano che si prosciugano di vitalità, di ardore. E le polemiche, sempre le stesse, quest’anno persino rinfocolate dal sommo De Rita, la Festa della liberazione è divisiva. E lo credo che è divisiva, ci mancherebbe, da una parte i repubblicani cittadini della Repubblica nata da quella Liberazione, dall’altra che si ostina a rifiutarsi a quel principio fondante sancito dalla sua costituzione. Non va più bene questa Repubblica, la sovvertano, straccino la Costituzione, riprenderemo da dove si è pensato di aver finito. Forse che il 14 Luglio dei francesi non è divisivo? Su cosa ballano e cantano e bevono da due secoli i repubblicani di Francia da due secoli se non sulle macerie della Bastiglia e le teste dei regnanti spodestati? Su cosa accendono il 4 di luglio i loro barbecue e i fuochi d’artificio gli americani nell’Indipendence Day, se non su una guerra di liberazione assai più sanguinosa e spietata della nostra? Forse che i monarchici francesi e i sediziosi degli Stati del Sud hanno nel corso del tempo ballato e mangiato salsicce assieme ai patrioti francesi e americani? Basta, per piacere, se la Festa della Liberazione si va consumando è perché si intende consumare questa repubblica, rigettarne il patto fondativo, promuovere o consentire la sedizione. Quello che io oggi farò è festa, per quello che posso data la contingenza dell’infezione. Darò ascolto all’appello dell’ANPI, che è l’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia, che ha per vessillo e distintivo il tricolore, perché la bandiera dei tre colori è sempre stata la più bella e noi vogliamo sempre quella noi vogliam la libertà, qualcuno ricorda? L’ANPI, dunque, ha chiesto ai figli, e ai nipoti e ai pronipoti della Repubblica nata dalla liberazione dalla dittatura, di portare oggi un fiore a una delle mille lapidi e targhe, molto dimenticate, spesso imbrattate, che ricordano i caduti per la Libertà, le vittime della dittatura. Ce ne sono ovunque, in città, nella campagna, sull’Appennino, farò manutenzione floreale della memoria, di quelle tracce di pietra ormai fossili conosco il racconto delle vite e della loro fine, se qualcuno dovesse passare e volesse fermarsi potrei raccontare. E cosa c’è se non festa nell’allegrezza dei fiori di primavera e nella tenerezza di un racconto di memoria?