Me ne devo fare una colpa? La Gloria dice di sì, la Gloria s’è dovuta fare il caffè per conto suo, e nella nostra vita era successo solo quando sono stato all’ospedale; s’è fatta il caffè come una miseranda solinga, e quando mi è venuta a dare il santo bacio per volgersi a lavorare in pace e sicurezza, io non l’ho manco ricambiata perché stavo sognando che mi usciva fuoco da tutti i pori e non volevo rovinarla. Me ne devo fare una colpa se ho sessantotto anni e ho vegliato come un deficiente fino alle cinque di mattina assieme alla ghenga dei miei nipotastri con accompagnamento di varia ragazzaglia puzzona, e quelle tre ore che ho dormito un sonno costipato di vacui sogni bambineschi mi si riverbereranno sulla mia cagionevole salute per settimane, forse per mesi? E forse che mi devo fare una colpa se non mi son fatto bastare il trionfo della Samp sull’innominabile Genoa in uno degli ormai introvabili derby senza trucco e senza inganno, e coricandomi satollo di tanta gloria e tanto Quaglia avrei potuto giovarmi di sogni danteschi gravidi di saggezza e fecondi di nobili fortune? Sì, certo che sì, se tutto questo è solo per lo sfizio di essere lì quando dal satellite in orbita attorno all’orrido Mardoch giungono sul pianeta Terra i segnali della Prima dell’Ultima, ancora fresca come acqua sorgiva, vergine nella sua lingua natia. Che per inciso io non intendo se non in sparuti minosillabi, e siccome sono anche quasi cieco, ho dovuto umiliarmi a chiedere il permesso di godermela appiccicato alla tv per leggere almeno le fasi salienti della sottotitolatura. La prima puntata dell’ultima stagione del Trono di Spade, molto romantico, molto stupido, molto ovvio e necessario. Naturalmente tra una settimana sarà disponibile in orario commestibile adeguatamente tradotta e magistralmente doppiata, ma anche lo sbarco degli umani sulla Luna l’hanno rifatto il giorno dopo nella comoda ora di pranzo, eppure io ero lì, più o meno alla stessa ora. Proprio sicuri che è così diverso? Allora avevo diciott’anni e tre molotov sotto l’acquaio in casa pronte per la rivoluzione, oggi ho cinquant’anni di più e tutto quello che mi rimane per la rivoluzione è un corpo inadatto e una smania che non se n’è andata mai via, ma ieri come allora non potevo perdermi una storia così bella da sentire e guardare, e non potevo rinunciare a vantarmi di essere stato tra i primi a vederla e sentirla, e lo dico senza vergogna.
Cosa mai mi ha preso di questa favolazza per bambinoni, mi chiede con giustificata preoccupazione la Gloria, lei che giusto l’altra notte si è addormentata con Berlino anno Zero infilato sotto il cuscino. Già, cosa m’ha preso? A me, che quando ho cisto che l’avevano letto tutti e stavo facendo la figura dell’antipatico, mi son comprato Il signore degli Anelli e dopo trenta pagine l’ho regalato allo scambio libri del circolo ARCI. Mi ha preso che è un’altra cosa, che non è quella roba lì, ma quell’altra. Non che l’avessi capito subito, ho dovuto star dietro al nipote Giovanni e al suo mistero: come fa quel disgraziato a imbambolarsi dietro una roba di draghi e di regni e continuare a prendere nove di greco, latino e italiano, perché non s’è rincretinito? Ma certo, perché Il trono di Spade è Omero e poi diventa Shakespeare, e poi torna Omero e si fa Dostoevskij, adesso è Wagner, il Ring, l’Olandese Volante e La Valkiria, poi l’Odissea, Re Lear e Riccardo III, la Heiðarvíga saga, e sì, anche certe storie notturne di mia nonna, storie che mi raccontava in cucina sotto una lampadina da dieci candele mentre di là dalla porta bussava la tempesta. La storia di tutte le storie, lu cunto di tutti li cunti, e l‘unica storia sempre vera, la storia del potere che annienta ogni anima e ogni cosa, dell’oro che danna chi lo tocca e dell’amore che non salva ma forse, chissà, un giorno salverà; e degli uomini, l’eterna storia degli uomini in cammino folle e inesausto in cerca di questo e di quello. Il Grande Romanzo Popolare raccontato come non può che essere, senza risparmio di splendore, meglio che al cine al tempo del cinemascope tecnicolor, al tempo di Ben Ur. Al tempo di Grandi Sperrasnze; quando al porto di Boston arrivò l’ultima puntata del romanzo, ci furono due morti annegati nella calca per accaparrarsi la pubblicazione e leggerla prima che qualcuno si mettesse a fare la spia sul finale. Sia fatti così, noi che andiamo pazzi per i magnifici romanzi.