Le case sotto il Ponte il Ponte non le ha toccate, sono le sue case e lui è la loro ombra, e l’ombra è pur sempre un riparo; è sprofondato su se stesso il Ponte, ha perso la ragione di sé e s’è annichilito, ma non ha dimenticato il patto tra l’ombra e i viventi; come nelle storie di paura, l’orco non tocca il suo villaggio, e il villaggio sopporta il suo fiato fetente, alla fine anche il fetore può essere riparo. Sono intatte le case sotto il Ponte, ma sono lì e basta, vuote di viventi, inabitate per sempre, e sono un dolore, un dolore come del lutto più acerbo, “io sono qui a piangere la mia casa”. I viventi volevano bene a quelle case e vorrebbero che fossero vive con loro, si affacciano dai balzi a guardarle e vedono che sono fantasmi, fantasmi che sembrano vivi solo per il bene che gli vogliono. Il villaggio sotto il Ponte è fatto di case di lavoratori, vecchi lavoratori della ferrovia, e vedove e figli e nipoti di vecchi lavoratori; non sono case belle le case dei lavoratori, sono vecchie case non Antiche Dimore, ma non per questo non sono case, vere case a cui i viventi non possono che volere un gran bene. Com’è che si vuol bene alle case di via Fillak e di via Porro? Ma perché la casa non è i suoi mattoni, le sue tegole e il cemento, quella roba è un edificio non una casa; la casa viene dopo, viene con gli intenti dei suoi abitatori, la casa è il loro sostio, l’asosto. I liguri si son tenuti in gran conto questa parola, è una parola antica e bellissima, sostio, sosto, sostal, ostal, hospital, hospes. Il riparo, la protezione, la cura, colei che accoglie e sostiene e conserva, che conserva in vita. La casa è le anime delle generazioni che si sono fatte materia, materia di cose, oggetti, propositi, come si fa a non voler bene a ciò che è stato edificato per volertene, a chi ha edificato per generarti, per amarti, per tenerti al riparo, per curarti. Adesso gli abitanti delle case sotto il Ponte potranno andare, potranno entrare ancora una volta, potranno fermarsi un poco, quel poco che basterà per prendere quello che vorranno, purché sia contenibile in un tot di scatole certificate dalle autorità. In quelle ore le case sotto il Ponte non saranno fantasmi ingombri di reperti, saranno di nuovo colme delle loro anime, vive della vita dei loro abitatori, li terranno ancora al riparo e li sosteranno mentre raccoglieranno le spoglie dei penati, quello che della casa potrà ancora vivere dove andranno a edificare un nuovo sostio. È stato chiesto, impudicamente, cosa sarà scelto e pudicamente è stato risposto, la pudicizia è tenerezza e eroismo. La signora Concetta prenderà con sé la chitarra del marito che non c’è più, il signor Gavino per prima cosa Toby, il pupazzo preferito della figlia Rebecca, la signora Daniela i filmini VHS della nascita delle sue figlie, la signora Giusy il bellissimo materasso “memory” che ha appena comprato e l’urna con le ceneri del padre e gli appropriati documenti attestatori, il signor Salvatore il plastico con la Francia in miniatura opera del padre ferroviere, il signor Franco i quindici suoi album di memorie, la signora Eleonora i ferri che le servono per insegnare maglieria, la signora Mimma la valigia con le statuine del presepe, i signori Dumitru e Yonela tutta la cameretta della figliolina che hanno appena comprato all’asta, sempre che sarà possibile smontarla e inscatolarla. E la fede nuziale del padre, l’orologio da ferroviere, i mobili che il padre ha venduto e il figlio riscattato, le foto del matrimonio, il divano ereditato dalla madre, la moto Guzzi Galletto, gli appunti dell’università, il diploma di maturità, i libri di medicina cinese, il vaso di ceramica che viene dalla lontanissima Birmania. E tutto quanto, tutto ma proprio tutto, si ripromettono due ragazzini. I ragazzini; gli animali e i bambini sono quelli a cui manca di più la casa, dice un vecchio pensionato della ferrovia, lui pensa che se la caverà, ma i bambini e gli animali, loro sarà difficile metterli a sostio in tempo perché non soffrano troppo. Porteranno con sé tutto quello che si sono promessi i viventi delle case sotto il Ponte, e sarà comunque sempre solo poca brace; l’attizzeranno, la custodiranno con la cura dovuta, e sarà ancora poca brace. Poi per loro si disporrà per nuovi edifici, probabile che sdaranno più comodi e magari anche più belli di quelli che in via Porro saranno abbattuti, ma intanto non saranno ancora case finché le anime non si sentiranno di nuovo al riparo, di nuovo custodite e curate, e ci vorrà del lavoro assiduo, della dedizione al domani, ci vorrà spirito di promettenza. Ce ne dovrà essere perché gli sfollati si facciano nuovi abitatori. Ce ne dovrà essere perché qualcosa che possa essere un Ponte torni a slanciarsi oltre le faglie, le gole e i dirupi.