Dunque mi ha raccontato che sua madre Theresa è nata nella città polacca di Pabianitz da una cattolicissima famiglia di commercianti. Pabianitz è una città colpevole, ha inutilmente e sanguinosamente resistito alle truppe germaniche d’occupazione, e dunque è severamente punita con la deportazione in massa dei civili; Theresa è prelevata dalle SS all’uscita da scuola, ha appena finito il corso di dattilografia, ha ancora da compiere quattordici anni, è destinata al campo di Helmstedt. Il campo è su una miniera di salgemma, ben in fondo nella miniera ci sono i laboratori per la fabbricazione di componenti del prototipo di un’arma segreta della Luftwaffe; il lavoro nella miniera è per i deportati politici più pericolosi, quello nel laboratorio per i più specializzati, gli uffici sono destinati alle ragazze come Theresa.
E mi ha raccontato che Tullio è nato nel ‘17 a Monterosso, in Riviera di Levante, da una famiglia di sarti e barbieri dove i maschi sapevano fare l’uno e l’altro mestiere assieme e anche dipingere e scrivere poesie e anelare alla rivoluzione socialista. Tullio è partito alla guerra da marinaio e dopo l’8 Settembre se n’è tornato a casa; quando i fascisti sono andati a prenderlo per arruolarlo nella Repubblica Sociale, lui si è fatto trovare in casa, era una testa calda. Lo hanno deportato a Fossoli; di quel campo non ha mai voluto parlarne, solo, morendo, ha lasciato sul comodino dell’ospedale un biglietto in cui diceva di un orrore che non poteva dimenticare, per il resto ha solo raccontato che a salvarlo dalla morte è stato il suo mestiere, un sarto è sempre di grande utilità in un posto dove ci sono tanti uomini in divisa, specialmente poi se è anche un barbiere. Il campo di Helmstedt non è un campo di sterminio anche se c’è l’edificio per le eliminazioni, il vitto è uguale per tutti, un filone di pane da dividere tra i sedici componenti della baracca e una patata con l’acqua di bollitura a testa al giorno; nel campo tutto era proibito tranne eseguire gli ordini, Tullio ha portato per tutta la vita le cicatrici delle percosse che ha ricevuto disobbedendo alla regola, il suo nome era un numero, o altrimenti “tu, merda”. Tullio ha raccontato che il primo ricordo che aveva del campo era il canto di un gruppo di polacchi, cantavano inni sacri polacchi mentre le guardie lì picchiavano, prendevano le bastonate e continuavano a cantare, cantare era proibito, era proibito anche pregare a voce alta. Era proibito festeggiare anche il Natale, e per questa ragione Tullio ha conosciuto Theresa; quella polacchetta era una testa calda e nel Natale del ‘44 era diventata famosa in tutto il campo perché s’era risaputo che, rischiando la morte, aveva rubato un rametto da un albero e con la carta colorata rubata negli uffici aveva allestito un alberello natalizio nella sua baracca, era furbissima e riusciva a nasconderlo alle ispezioni giornaliere. Così Tullio si è intestardito di conoscerla la testa calda polacca, e ci è riuscito trovando il modo di arrivare all’ufficio dove dattilografava. L’ha vista, era bellissima e piena di fascino ribaldo, e si è innamorato; e siccome era anche lui un uomo molto bello e molto affascinante, anche Theresa si è innamorata, così, in un lampo. Tullio ha raccontato che la cosa strana in quel campo dove nessuno pensava a altro che a sopravvivere, dove essere buoni d’animo era come suicidarsi, fu la gran complicità generale per quegli innamorati, così che riuscirono a scambiarsi persino dei biglietti, e a promettersi, e a sopravvivere fino alla liberazione. Naturalmente il vestito della sposa e il suo lì ha tagliati e cuciti Tullio. Che ha preso la sua sposa e se l’è portata in Riviera, e alla stazione c’era tutto il paese ad aspettarli, in testa la cara, vecchia mamma, che per prima cosa si è schiantata sul figlio con uno schiaffone tremendo, perché, con tutto quello che gli era successo, Tullio si era dimenticato di aver lasciato al paese una promessa sposa, nientemeno che la nipote del parroco, e queste cose non si fanno. E poi sono vissuti felici e contenti, tanto da fare una figlia e poi un’altra, e l’altra è la signora Teresa che non ha mai conosciuto sua madre e quello che sa di lei sono le fotografie e i racconti. Che è quello che so io e che ora sapete voi. E tutti quanti sappiamo da quelle fotografie un’altra cosa, sappiamo che persino nella più vigilata fortezza dell’inumanità, nel più schifoso tabernacolo del sadismo, nel tempo dove niente di buono è ammissibile e plausibile, ecco che anche lì non tutto è perfettamente e eternamente predisposto e stabilito. Questo nel caso che al tempo presente dovessimo sentirci deprimevolmente impotenti.