Questa notte accenderò il mio lumino alla finestra che dà sulla piana, il solito lumino cieco, fioco e persistente anche se ci sarà buriana, lo faranno anche i vicini, e giù nella piana ci saranno lumini un po’ dappertutto fino a Passogatto, a San Pietro, a Magnavacca, nelle cascine dove ancora nel tinello sono appesi i ritratti di Mazzini e Garibaldi, ce ne sono, ce ne sono persino in certe case popolari di Gambettola e Forlì, lì tengono anche il ritratto di Andrea Costa e del tirannicida Bresci; so che dei ragazzi si son stufati dei lumini e faranno un gran falò nella spiaggia, passeranno tutta notte, spavaldi, ad attizzare il fuoco, berranno parecchio sangiovese mi sa, avranno la bocca piena di salsiccia passita, e leggeranno, tutta notte leggeranno parola per parola la Costituzione della Repubblica, la Repubblica Romana. Saremo patetici noi dei lumini del 9 febbraio, ma lo facciamo da centosettantanni e magari dureremo ancora un po’ e anche più, e a noi pare gesto di nobiltà, siamo perseverante memoria, la memoria è fatta di luce, la memoria illumina e rende giustizia. La Repubblica Romana durò sei mesi e furono sei mesi di gioventù, la gioventù che si prende il carico dell’“inane polvere umana” delle generazioni trascorse e dà vita e materia al sogno più grande, un popolo di sovrani. Questo è stata la Repubblica Romana, oltre a ogni altra cosa splendente, una generazione nuova e monda, colma di candida forza, che prende la propria vita e la consuma fino alla morte perché agli occhi del mondo sia chiaro che non c’è mai una sola storia da raccontare. La fine della Repubblica è per questo il suo inizio, l’inizio è in una tipografia dalle parti di Ponte Milvio dove si stampa la Gazzetta Ufficiale della Repubblica con l’atto della Costituzione, a difenderlo il battaglione Sapienza, il corpo dei volontari dell’università, moriranno per un foglio di carta. In quel foglio, all’articolo primo è scritto: La Sovranità è per diritto eterno nel Popolo. Leggete in un dizionario l’etimo primo di sovrano, troverete, responsabile, guardiano, sentinella, colui che si pone in alto per avere lo sguardo più lungo. Un popolo di sovrani, responsabili, guardiani ognuno del proprio destino e del destino di tutti, vincolati da un patto tra uomini liberi, perché è in loro, nella loro naturale signorilità. L’unica accezione di popolo che non sia beffa, menzogna, perversione. Un ragazzo di vent’anni a nome Goffredo Mameli mandò il giorno della Repubblica un telegramma a Mazzini e a Garibaldi, tre parole: Roma, repubblica, venite. Quel ragazzo è morto nell’ultima battaglia, e se accendo il mio lumino è perché ancora credo che quel telegramma possa ancora essere spedito a qualcuno, da un altro ragazzo.