Irena nel mio cuor (2 giugno 1988)
Sei giunta oggi a me Irena che avrei potuto in altra circostanza esserti lungi e sono invece proprio qui, a rimirarmi la stampa quotidiana e a spiare con fare maldestro la scena del tuo giungere al set e l’avvio del deliquio di membra perfette che vado (o mio dio!) or ora a constatare allibito trapassato, no, non già dal lascivo scomporsi di membra sull’anca e forse nemmeno, lo dico, dal tuo esibire d’ascelle faraone morbide umide calde, no. Non la bella fiera delle tue appetite armonie, ma è il tuo sguardo che mi guarda e m’incatena o Irena.Ora ditemi voi cosa ne può sapere il suo commissario politico, lui, di quello che ci si vede sotto tutto il grigio e il verde dei suoi occhietti che vi sono arrivati un attimo fà in primissimo piano precipitati giù dal soffitto con tutta la faccia e il resto spiroettato in acrobazia? Scomettiamo che non le ha mai viste lui le stelline che da quell’orrido di perdizione si involano lassù, in cielo tra gli angioli, dove lei se ne tornerà tosto dopo i soliti quattro passi di danza in mirabilie di raso lucente, dopo avervi ficcato il suo viso, ovale tenero e perfetto, nel cuore.Eh!, se le portano in giro loro le bambine a far la propaganda, ma si capisce che gli scappano di mano quelle, che sono feroci e indomite come gatti persiani e quando arrivano lì a Domenica In, tramite ambasciata visti rivisti scambi, non le tengono più. Il loro numero lo fanno, certo, ma mica quello segnato nella velina! E’ un lavoretto a sorpresa quello che mi sto godendo qui cic tu cic. La bambina ginnasta dodicenne miracolo del lavoro socialista tuttafatta al sindacato polisportivi, la bambina divina che tanti lutti inflisse all’aoccidente, eccola qui per voi e le vostre famiglie nello splendore di pompe e circostanze che vi allucina e quasi vi ammazza il fiato all’inguine. Caldi al pezzo fratellino!Intanto lei i suoi dodici anni se li è compiuti a Sofia o sa dio dove nella sterminata pampa di Bulgaria; lei, la Irena Viborova Silikova, che ora è tutta sorriso e dice prendimi prendimi che non m’acchiappi; e giù a capofitto in farfallio di tremende torsioni strozzavertebre, in un anguillare di braccia e gambe, in un fru fru di alucce, ogni sua cosa brunorosata risucchiata nel pozzo biancastro dell’occhio di bue.Così che vorresti di botto portartela a casa, lontano da tutto il lestofantume dello studio N° 4, lontano lontano dal partito e da quella vecchiaccia che se la tiene ben stretta nella lontana Bulgaria.Il primo pensiero è per te bambina mia che intendi corrompermi, lo so. Mi adocchi appena appena i pantaloni e mi sussurri vergogna asinaccio con quelle tue labbra che mai lambirono carne contaminata, deliziose in quel bel punto di incarnato rubino, deliziose in quel muoversi sfinterico di corolla, deliziose, infine, in tutto ciò che le rende sublime inganno.
E io che sto qui ancora e altro non vedo che il tuo cuore palpitante sotto quel poco di ciccetta e di quel poco ne avrei abasta per tutta una vita di tormento; e io questo farei se solo potessi interromperti ora, mentre sfinisci il tuo pubblico assente e presente, volteggiante serpentina fluttuante dappertutto con palla e cerchio sull’onda dell’immmortale Chopin. Io questo farei e mi berrei tutto quel fiume di lacrime versato dalla bella rapita, tutto inzuppato il gran sacco di juta nel viaggio.
E quella lì non ce n’ha davvero voglia di fare i tredici anni a Sofia. Quella te la trovi davanti alla porta vestita della sua bella tutina ma proprio tutina di raso marron e allora si che non sapresti che pesci prendere mentre lei ti rifila, sparse le trecce morbide, le seguenti sgargianti credenziali:
A. Abiura da tutti i principi beghineschi contratti da mamma e papà e più dietro ancora nel tempo sino alle fonti, compresi i principi accessori aggiudicati nella sezione polisportiva e al sindacato preposto, dattiloscritta firmata vidimata plastificata appesa sul davanti.
B. Abiura dall’abiura sistemata in diverse copie autentiche nei punti strategici per un non si sa mai.
C. Lancinalante richiamo verbale e mimico alle origini slave della tregenda dei sensi, sottinteso che io non faccio un passettino che è un passettino senza adeguate garanzie inerenti lo stato di Bambina Martire e Ginnasta.
D. Dolci dolcissime foneticanti astrazioni predisposte proprio in punta di linguetta, a mo’ di discorso introduttivo al precipitare degli avvenimenti che seguirà subito appresso, nel baillame di sentimenti del citrullone la cui porta è stata prescelta dalla Bambina Ginnasta Irena Viborova Solikova per una sporca operazione di riciclaggio. Riciclaggio di tenere anime morte, roba da farsela sotto.
Non hai ancora finito?
Vedi? Ora il muco mi aggrotta le guance e le nari e io piango. Si, io piango e non di meno sono felice che tu sia ancora tra noi e la palla ti passa di mano sfiorando l’onda che muove le spalle, ci giochi e rigiochi ti frulli la frulli, ti adombra passando il bel viso. E scroscia l’applauso, là, dentro il conciliabolo demente che non saprebbe che farsene di te nemmeno a gratis, né ti vorrebbe ancora con noi, che ormai ti odia e sospetta dentro al tuo sorriso tutte le tue possibili malefatte presenti e future.
Perché è vero che non ci porteresti niente di buono, o Irena, e non ci resterebbe nemmeno la soddisfa di fumarci un pacchetto di sigarette al dì di festa proni ai tuoi piè che ora ti portano ad un ultimo saluto proprio davanti a me, a questo mio pigiama che già più non ti osserva, ma si dedica a sé stesso per un breve sentito ricordo..
Dacci un figlio dacci un figlio. E per noi tutti i giorni è domenica.