Io sono favorevole al cento per cento al sorteggio dei membri di almeno una delle due camere del parlamento, direi la più preminente, quella alta. A parte la mia percezione personale e quella dei miei vicini di casa, e la percezione oggi come oggi è tutto, un alto e stimato funzionario del parlamento, uno che tira avanti la baracca governo dopo governo per cercare di tenere in vita la Repubblica, mi ha appena confidato che secondo le sue stime negli ultimi decenni almeno l’ottanta per cento dei parlamentari si è dimostrato privo degli strumenti culturali, morali e psichici per essere di qualche utilità al bene pubblico, dalle prime impressioni del presente aggiusterebbe le stime all’ottantacinque per cento, ragion per cui, anche solo per la legge dei grandi numeri, a tirare a sorte dall’elenco telefonico si andrebbe a star meglio, se l’ottanta per cento dei cittadini aventi diritto fosse nelle condizioni dei parlamentari che ha eletto, in  questo paese non funzionerebbe neanche l’acqua nel rubinetto. Se ne è accorto anche Beppe Grillo che ce ne ha rifilati solo ieri un bel po’ e oggi conviene che sarebbe meglio sorteggiarli. Ma il sorteggio dei rappresentanti del popolo non è una comica provocazione, è bensì l’ultima spiaggia delle democrazie dall’antica Grecia in poi; e di ogni forma di rappresentanza, compresa l’oligarchia, il che significa che anche a votare in quattro gatti si finisce sempre per pentirsene e ricorrere al semenaio, al bussolotto con le palline della buona sorte. Bezoriæ tiâli sciù tutti co-o semenaio, ho sentito con le mie orecchie il vecchio cardinal Siri pronunciare questa benedizione mentre aspergeva di acqua santa il consiglio comunale della città di Genova, tutto quanto a capo chino e forse conscio forse no. Certo, Siri aveva della democrazia l’idea che si trattasse di una malattia esantematica, ci sono ampi e ben attendibili studi che nella contemporanea senescenza della democrazia, sostengono la forza vivificatrice della sorte. Cito i primi che mi vengono in mente, “Democrazia a sorte” di Andrea Rapisarda e Alessandro Pluchino, fisici teorici dell’Università di Catania, ‘Il potere al popolo’, di Yves Sintomer, professore di Sociologia dell’università di Parigi VIII, “Contro le elezioni. Perché votare non è più democratico”, dello storico belga  David Van Reybrouck, studiosi molto seri e nessuno tra loro che metta in dubbio lo sbarco sulla luna. Il problema irrisolvibile della democrazia è il demos, il popolo, se ne potesse fare a meno sarebbe tutto più pratico e funzionante, ma non si può, e non si può nemmeno cambiarlo quando non va bene. Il popolo è quello che è, e come ci insegna Aristofane, quando diventa vecchio e depresso e gli è dato di scegliere, il primo che viene in mente di votare è il salsicciaio che lo riempie di frottole e lusinghe. Se mai c’è una soluzione al problema della rappresentanza non potrà che essere quella che propone Aristofane, ringiovanire con una santa magia il popolo, altrimenti meglio tirare a sorte, all’anagrafe non sono iscritti solo dei salsicciai.

Il Secolo XIX, 1 luglio 2018