Ci hanno rapinato la casa, è stato con ogni probabilità nel cuore della notte, la casa era deserta; hanno divelto la pesante porta di ingresso usando una mazza e una lunga ascia, la mazza se la sono portata loro, l’ascia c’è l’abbiamo messa noi, è l’attrezzo che usiamo per preparare la legna del forno, l’hanno trovata nella rimessa e l’hanno lasciata sul pavimento in mezzo alla cucina, quell’ascia lì sul pavimento è stata l’immagine più sinistra in cui ci siamo imbattuti nel nostro primo ingesso, aveva un che di film dell’orrore. Per il resto è stato fatto un lavoro piuttosto pulito, da specialisti, nessun oltraggio superfluo agli arredi, nessun vandalismo gratuito, solo manomissioni funzionali allo scopo. Per questa ragione ci siamo trovati tutti i nostri libri a terra; non abbiamo una biblioteca di collezione ma solo di uso, dunque teniamo solo i libri che ci paiono essenziali, a questo punto della vita e del lavoro non più di quattromila volumi. Ma quattromila libri sparpagliati sul pavimento sono un mare, ci siamo trovati letteralmente a camminare per la casa con i libri alle ginocchia; libri e nugoli di lettere, faldoni squadernati di documenti, migliaia di raccoglitori di negativi fotografici, l’archivio di un’intensa vita personale e professionale. Un vero disastro, abbiamo impiegato cinque giorni solo per risistemare tutta quella carta, ma non se ne può fare una colpa specifica ai notturni visitatori, non è verosimile un accanimento barbarico teso a demolire le nostre fondamenta culturali; semplicemente pensavano che i libri che noi leggiamo perché ci diano luce servissero in verità a tutt’altro scopro, a nascondere ciò che andavano cercando e non trovavano, e non trovavano perché non c’è: una cassaforte. In effetti da quando mondo è mondo le cassaforti si nascondono nelle librerie. I visitatori si aspettavano di più dalla nostra bella casa, ben di più di un orologio e qualche vecchia gioia che siamo soliti lasciare in discreta evidenza sul comò per un’occasione del genere, e devo dare atto della loro pazienza nel cercare e nella loro reazione composta nel non trovare, nessun danno, ripeto, a parte il necessario; vuoi mica che tutti quei libri li abbiamo messi sull’avviso di una casa di lavoratori della mente e dunque di modesti mezzi? Credo proprio che sia andata così, e che abbiano avuto in qualche modo rispetto per le ragioni dei modesti frutti. Che poi proprio modesti non lo sono stati, visto che a una approfondita ispezione ho scoperto che mi è stato sottratto il grande, grasso e ben invecchiato prosciutto che conservavo nella dispensa in previsione di un autunno di bagordi; non era un prosciutto qualunque, veniva da un maturo suino allevato felicemente con nutrimenti naturali in un’ampia e linda porcilaia munita di acqua corrente e pesino di un copertone di autotreno appeso a mo’ di altalena per un po’ di sano svago, ho fatto una coda di tre lunghi anni per averlo, e pagarlo a peso d’oro, il mio unico, inestimabile gioiello. Tra i non pochi incomodi quella del prosciuttone è stata una perdita che ha dell’irreparabile e che almeno al momento non credo di riuscire a perdonare, ma nonostante il dispetto e l’afflizione, come non posso ripensare al colpo dei soliti ignoti, alla consolazione della pasta e fagioli dopo una disgraziatissima notte di rapina?

Il Secolo XIX, 12 agosto 2018