Venticinque aprile (21 gennaio 1996)

Il venticinque aprile del 1982. Ti ricordi che pioveva? Quattro giorni passato l’equinozio ancora pioveva. In via della Ghiara avevamo due finestre e un balcone e nel balcone l’acqua ciackettava sulla scodella della gatta.
Ebbé? Dov’è che vuoi arrivare?
Mah, non so… Al viaggio di nozze probabilmente, e forse ancor prima, al matrimonio, al tre marzo. No, scusa, al sette di marzo, al giorno del nostro matrimonio che per l’appunto cadeva di sabato sette marzo e era la vigilia della festa della donna. Non so il perché ma mi viene sempre fuori il tre; dovrei prima o poi cercare di scoprire la ragione attinente a noi due e alla data del tre. Del resto tu sai bene che per le ricorrenze io ho dei notevoli disturbi.
Hai disturbi da ogni parte Felice, e me li hai fatti venire anche a me, se è per questo. Lascia perdere il tre marzo: che rischi di tirarci fuori qualche storia dove io naturalmente non centro niente.
Non è vero, io sono quasi sicuro che da qualche parte c’è un tre di marzo che riguarda noi due. Al massimo un tre di luglio. Ma ti prego, lasciami ancora pensare al venticinque aprile di quell’anno; solo un momento: ho un ricordo per niente preciso, ma fortissimo. Mi sta rintronando dentro come se quel giorno fosse stato un limite, o un’epoca. Invece era solo il giorno della Liberazione, quarantonovesimo del nostro matrimonio.
Bravo. Chissà se te lo ricordi davvero il nostro matrimonio, il primo giorno, il secondo, il terzo. Se ti ricordi di esserti sposato, se te lo sei mai ricordato allora di essere marito mio; quel giorno stesso voglio dire. Se ha mai avuto un senso qualunque pratico e reale per te quando sei andato a fare le carte in comune; quando ci siamo entrati tutti e due, quando quel magnaccia del tuo sindaco ha tirato fuori i due violini per farci firmare con la colonna sonora.. Lascia perdere Felice. Guarda, ormai mi sembra quasi una cosa buffa essere stata tua moglie, Solo che adesso sarebbe proprio il momento di farla finita. Ho un po’ da fare per stasera. Tu cosa fai? Se vuoi puoi fermarti anche qui con noi.
Stai brava un momento Anita. No, non mi fermo, ma stai buona ancora un attimo. Stai qui vicino, mi servi te per ricordare, credo. Eravamo in pigiama; quella mattina eravamo in pigiama io e te e guardavamo fuori che pioveva sulla tazza della gatta e per tutta la strada; e si, ecco, la gente cominciava lo stesso a preparare lo striscione di partenza per la marcia della liberazione. È vero? C’era la marcia e io mi struggevo dalla pioggia e tu ti struggevi come me anche se della marcia non te ne importava. Oh, io si, io ci volevo andare, ci andavo ogni anno. Però pensavamo al viaggio di nozze. Io almeno pensavo a quello e stabilivo un rapporto, come un languore, con quella mattina. Quante cose Anita che non ti posso dire di noi due!
Non mi hai mai detto niente di noi due. Penso anche che non mi hai mai detto niente di niente. Ti immagini che soddisfazione, eh? Ma perché mi hai voluta prendere, chi ti diceva qualcosa se te ne facevi una o due e sparivi all’instante?