Scemo di guerra (22 aprile 1995)

Scirocco libeccio maestrale, maestrale libeccio scirocco. La sfera perfetta cronometrica dei venti centrifuga su questa mia città il tempo d’autunno: piove poi smette poi piove; durerà dio sa quanto e sarà così fino alla prossima stagione. Confondo troppo spesso le stagioni con le epoche; non riesco a trovare una ragione buona per spingermi oltre quest’autunno con qualche previsione, non ho libri che mi parlino dei cambiamenti che ci saranno dopo. Io non me li immagino più da quando ho smesso di comprarmi vestiti.
Dalle ultime passate stagioni qualcosa invece mi è rimasto. Voglio dire qualcosa di solido e concreto, dico le ortensie i gelsomini e l’olivetto, l’olivo soprattutto, tutta questa roba naturalia che mi cresce -e con questo suo crescere arruffato e ubertoso soddisfa per la mia casa il sentimento del tempo- lassù, nelle bagnarole del terrazzo che mi sporge sopra la città. Io lì vado, sempre, anche questi giorni, anche se piove; e se mi bagno non importa, perché non c’è posto migliore per restare in vita, non c’è altra terra in questo posto della vita, non c’è altro crescimento. E poi, da lì, tra le foglie dell’olivo e della passiflora, io traguardo quest’epoca laggiù, tra i viali che portano alla marina, nei fumi del porto, nei grigi del mare che si trascina nelle darsene, nel mare marron proprio là in fondo tra i corni rocciosi di Erice e Venere. Io guardo da un anno in quest’epoca i cannoni prodieri della Y10 e Y11, le fregate irachene osteggiate con corde e catene alla darsena numero 4 nel bacino dell’arsenale militare di questa mia città..
È un anno giusto che sono lì, ree confesse di infiniti lutti e maramalderie oceaniche, costrette alle catene prima che possano generare il peggio che ancora non si sà agli ordini del boia di Babilonia. E da un anno giusto, i cannoni da 150 della torre prodiera della Y10 sono puntati proprio -guarda un po!- sulla bagnarola mediterranea dove rigoglie l’olivetto mio. Perché? Cosa hanno visto e percepito da laggiù i marinari cannonieri inerente il mio terrazzo? Cosa li ha sollecitati ancora non più di tre giorni fà ad aggiustare la mira; perché ci faccio caso e è proprio vero che laggiù ci sono aggiustamenti continui nell’ordine di un decimo di grado non di più, sempre più precisi, lavori da orefice per farmi fuori la mia verzura; o che altro?
Io con loro non centro nemmeno nei pensieri. Orientali qui da noi, gobbi di tutto l’odio della gente perbene, cincischiano con i cannoni -loro- cannoni roba buona che gli abbiano dato noi con tanto sacrificio degli operai dell’OTO, roba che al loro paese nemmeno se la sognano, e sono capaci di non averli ancora pagati. Certo che un anno chiusi dentro la loro fregata deve averli incinghialiti un bel po’, del tipo che si saranno già stufati di scrivere a casa “cara Selima qui tutto procede e se dio lo vorrà potrò tornare a baciare il figlio nostro Selim” e magari vorrebbero dare due calci al pallone con i marinaretti sulla banchina, quelli che gli fanno la guardia e si tengono Tuttosport infilato nei pantaloni e appena capita qualcosa un po’ sferico si buttano a pallonare per tutta la banchina alla bella faccia di un po’ di disciplina che ancora non farebbe male specie in questi momenti di bollore mondiale. Vorrebbero distrarsi con qualcosa -me li immagino- e allora mi dico io non gli passa per la testa nient’altro che gingillarsi con sta torre prodiera. E io quassù a spiarli da dietro l’ulivo come un imbecille. Magari non sanno nemmeno che esisto e la faccenda è solo un’illusione ottica, o magari sono proprio io con le piante e tutto quanto che ci stiamo spostando ogni giorno un po’ più a destra. Sarà possibile? Dio li fulmuni; dovrei pensare a dell’altro, figuriamoci! Dovrei cercare la mia strada per uscir fuori da quest’epoca ancora vivo, dovrei trovare il modo di cambiare stagione, trovarmene una nuova in qualche modo.
E invece le catene che tengono la fregata Y10, tengono anche me. Come ci fosse qualcuno che si è preso la briga di studiare un solo destino per me e per loro, facce scure irachene, gente che non conosce nemmeno il pane buono, gente che ci ha un dio cannoniero, figli dei figli dei figli di Sodoma e Gomorra. Se le cose stanno così io un giorno o l’altro la faccio finita e mi ci metto io a sparare per primo.