2000 (un racconto del 2004)

C’era il programma su tutti i giornali, alla radio e alla televisione. Guardò l’ora e uscì fuori per vedere almeno a che punto fosse la luna, e vide per prima cosa le stelle scostarsi l’una dall’altra, stridere nel muoversi come se intenzionalmente si dilungassero a graffiare la volta celeste; subito dopo udì il cielo ululare. Distintamente, come se il cane sotto casa avesse alzato la gola e iddio gliela avesse allargata intorno alle galassie. Non più di un chilometro più in là, calcolò, non più di un chilometro in linea d’aria, la sua ragazza si stava sfilando le braghette in previsione di un coito che l’avrebbe resa sufficientemente appagata. E forse incinta, aggiunse dubbioso, e forse felice. Non c’è senso delle proporzioni, per fortuna che siamo alla fine, pensò. Per fortuna che siamo alla fine, ripeté. Notò che il cielo era ormai quasi sfatto poiché le stelle avevano preso adesso a scontrarsi tra loro. Voleva dire qualcosa ad alta voce, ma il rumore era troppo assordante, e per poterci riuscire dovette rientrare in casa, ficcarsi nelle orecchie della mollica di pane e tornare all’aperto. Allora si schierò davanti alla dissoluzione e cominciò a cantare un vecchio tango: Forse sarà la musica del mare, che nell’attesa fa tremare il cuore, torna ogni vela e tu non sai tornare, son lacrime amare… La luna, oscillando brevemente sul suo asse, tramontò oltre le colline esattamente dove era stato annunciato, circa trenta gradi a più a nord del punto consueto. Allora dalla città si alzò un boato spaventoso, un clamore che per un attimo coprì il rumore dell’universo in disfacimento: era il popolo tutto che applaudiva all’unisono, erano milioni di stelline esplosive che si accendevano nelle mani dei grandi e dei piccini. La mia ragazza avrà finito a quest’ora, si rincuorò, la mia ragazza sarà al balcone con le sue mutande in mano, con la sua stellina in mano. Almeno, in tutto questo casino, lei fosse felice! Il cielo divenne ovunque vuoto e buio, freddo sino all’inverosimile, e dove solitamente declinava l’Orsa Maggiore, ora prese corpo improvvisa l’olografia del terzo millennio. Troppa roba, borbottò, troppa roba, continuò a ripetere chiudendo la finestra, correndo nel corridoio, entrando nel cesso. E sì, che non poteva ancora dire che fosse quello il gran finale.