Ancora non so quanti saranno i morti di oggi, quanti i ricoverati e quanti i positivi, quanti i vaccini promessi e quelli iniettati, ma oggi intanto è primavera, il suo primo giorno. È ancora un po’ freschino, lo so, ma è primavera. Al pesco primaticcio la tramontana ha strappato via i suoi fiori e il ciliegio ancora non si azzarda ad aprire i suoi, solo il pruno sembra averla vinta e sbeffeggia trionfante di vento e pestilenza e è tutto un turbinare di pioggia fiorita, ma è tutto solo che primavera. È entrata in casa la prima mosca, è lì sul muro che ozia e aspetta la sua parte di briciola di biscotto, e la sua parte di tela del ragno che solo stamattina ha lanciato il suo primo filo di seta tra la scansia dei dizionari e la lampada qui sopra la mia testa, è già primavera. Già giovedì scorso si sono palesate le alzavole, bercianti, strepitanti di allegria alla fine di un viaggio di mille miglia si sono ammarrate nello stagno già pronte a nidificare. E s’è fatto vivo il tasso che ha fatto tana, dicono un secolo fa, qui nel ciglio del fosso tra le radici della roverella, brontolava al tramonto per non si sa quale capriccio. Stanotte si son fatti vivi invece i ghiri nel solaio, razzolavano, ravanavano, zufolavano e sembrava che se la ridessero, hanno preso a fare l’amore. È così a ogni primavera. Che viene, sempre, indifferente, splendente, materna e capricciosa, e benvolente di ogni insperata promessa. E, sempre, ci coglie impreparati. Noi che l’abbiamo attesa e persino agognata per tutto il tempo di un inverno che nonostante le evidenze ci sembra sempre e comunque freddo, una stagione così necessaria alla vita che pure ci affligge e scontenta, ora contempliamo tutta questa rinascenza e ce ne sentiamo troppo distanti. Come se non trovassimo risorse per essere anche noi, come ogni altro essere, primaverili, come se non ce la meritassimo, e forse è così. E oggi che è primavera è anche, e appropriatamente, la giornata mondiale della poesia. Così vi faccio un regalo, una poesia di Giuseppe Ungaretti, scritta in trincea, un tempo un po’ peggio di questo, il suo titolo è Primavera 1916, eccola.

Sul secco refrattario di macerie

La solitudine fresca di qualche filo d’acqua

Questo schianto si vela d’un tenero verde

E vi apparta un brivido di mammole

In trilli di nuvole

Si spiega

L’anima prigioniera

Hanno rivoltato e frugato la terra

E ne hanno rovesciato il peso sulla vita

E la vita procede

Sempre leggera.