Non sono razzista, ma

Ho appena letto il libro di Luigi Manconi Non sono razzista, ma… Consiglio la lettura, ma intanto mi viene da dire che… No che non lo sono razzista, ma un po’ xenofobo magari sì. Essere razzisti è una pratica con la sua complessità, richiede persino un apparato culturale e ideologico di riferimento, una coerenza strenua, una visione del mondo così solida da essere valido baluardo contro gli attacchi concentrici di scienza, Vangelo e buon senso. La xenofobia non è un’ideologia e nemmeno un‘idea, è uno stato d’animo, una condizione di sofferenza emotiva. Xenofobia vuol dire paura dello sconosciuto, dell’alieno, dunque del diverso, dello straniero. La paura è paura e basta, non ha    nessuna relazione con la ragione o l’evidenza, ma intrinseca alla paura è la fragilità, la sofferenza, la precarietà della condizione economica, sociale e culturale, ad alimentarla l’ignoranza. Il xenofobo ha paura di ciò che non conosce perché non lo conosce, e ciò e chi non conosce è sempre una minaccia, per chi è debole e insicuro e spaventato non c’è riparo se non in ciò che gli è familiare. Gli animatori di barricate a Gorino, a Multedo e in cento altre ridenti località d’Italia erette contro donne e ragazzi richiedenti protezione, non sono che in parte risibile militanti della supremazia della razza a cui si illudono di appartenere,  in questo Paese e in generale in Europa i razzisti sono pochi, spavaldi e ridicoli, ma i sempre più numerosi xenofobi, gli spaventati, i fragili, gli ignoranti, i miseri, quelli che Non sono razzista, ma… E in quel ma… c’è qualcosa che assomiglia a una richiesta di aiuto: potessi capire, potessi sapere, potessi farmene una ragione di ciò che sta accadendo e nessuno mi sta aiutando a capire, potessi avere io stesso protezione da un sistema che mi caccia ai margini di ogni cosa che vale la pena di vivere… Io vivo in una comunità che ha accettato di accogliere un numero superiore alla quota ministeriale di richiedenti protezione. Certo che all’inizio c’era chi aveva paura, chi non capiva e chi aveva trovato finalmente il bersaglio ideale per le proprie frustrazioni, e naturalmente c’era chi bramava andare all’incasso politico di tutto ciò, ma è bastato un piano efficiente e efficace di inserimento, e non di isolamento, un modo di agire morbido e però inequivoco, è bastato spiegare e sforzarsi indefessamente di farlo nel rispetto anche delle fragilità, e sono bastati mesi, non anni, perché i problemi si rivelassero delle occasioni, e le occasioni delle opportunità. Mentre scrivo, giù lungo la provinciale un gruppo di giovani stranieri sta ripulendo i canaletti nella speranza di una pioggia che ci si augura sarà abbondante; a guidarli c’è un netturbino noto per il suo oltranzismo xenofobo espresso anche in modi a dir poco pittoreschi, da quando è responsabile di quel gruppo di manutenzione del bene comune il suo comportamento è esemplare sia moralmente che produttivamente. A riprova che per governare al meglio la complessità e la crisi non c’è di meglio che l’evangelico suggerimento a essere candidi come colombe, e a essere anche un po’ furbi come lo sono i serpenti non guasta.

Il Secolo XIX, 22 ottobre 2017