Vi ho già detto di mio suocero Silvano che al compimento dei suoi fausti ottantanove anni ha messo a dimora una cinquantina di ulivi che andranno a frutto tra una decina di anni, avete letto qui dell’architetto Piano che a ottantatré anni si è masso al lavoro per un grande progetto che vedrà la luce non prima di sette anni. Non ho né l’ostinata perseveranza di Silvano né il genio di Piano, ma anch’io ho fatto un passo, assai più modesto ma di pura promettenza: a settant’anni, gravido di protesi e artrosi mi son o comprato una bicicletta nuova. Non che quella vecchia non andasse più bene, ma questa è talmente bella, tecnologica e cara che ci manca solo che vada da sola, e se leggo bene il manuale non è escluso che lo faccia. Mi riempio di tali e tanti sensi di colpa al solo pensiero di quanto l’ho pagata che, dolori o non dolori, ogni mattina prendo e vado, provando a spingermi sempre più in là oltre il primo, costrittivo, orizzonte. È un gran bene che sia così, non c’è altro modo di uscire dalla deprimente contingenza che viviamo, avere un progetto, uno slancio oltre il visibile, e pedalare, pedalare, pedalare, che poi i dolori passano, o non ci accorgiamo più di averli. Ho fatto tre esempi, e sono di tre vecchi, ho cercato di un giovane e qui su due piedi non ho trovato da farne. Eppure chi se non loro? forse è che se riescono a immaginare dei progetti, se stanno prendendo la strada per andarci incontro, se lo tengono per sé. Hanno paura che glieli rubiamo, che glieli frantumiamo, che glieli deridiamo, e avrebbero ragione. Notizie dei giovani mi vengono da questo giornale; ier l’altro un ragazzo si è suicidato lasciando un biglietto, questa solitudine mi ammazza, ieri un altro ragazzo è stato internato con un TSO, un tempo era il manicomio, perché si è incatenato alla sedia del suo banco di scuola, non voleva mettersi la mascherina. E mia moglie mi parla dei suoi studenti, anche i più brillanti ora sono sfiduciati, impauriti, in molti hanno disturbi alimentari, pronti per l’anoressia, gli abbiamo detto e ridetto che sono loro che ammazzano i loro nonni e si smangiano di sensi di colpa; i meno brillanti, i più poveri, quelli con le famiglie incasinate, dunque i più, si arrendono, smettono, si sono spenti. E noi, noi padri e nonni che decidiamo per loro, che governiamo su di loro, che con duecentocinquanta miliardi adesso cambieremo i destini del Paese, gli abbiamo offerto la strada maestra perché riprendano a sognare, l’agevolazione sui mutui per l’acquisto di una casa. Perché farsi servi a vent’anni di un mutuo trentennale, incatenarsi a una casa, è pura, vera libertà, è tornare a sognare in grande, librarsi oltre l’ultimo orizzonte.