Censure

La Lupa Capitolina così com’è è un falso, visto che la lupa con le sue tette al vento è manufatto di epoca etrusca e i due gemelli ce li hanno messi sotto due millenni dopo in pieno Rinascimento, lei quei due marmocchi non li ha chiesti e, affermano gli etologi, le lupe non hanno nessunissima propensione ad allattare umani. Un falso, proprio perché falso, non è mai bello e men che mai istruttivo, ragion per cui non capisco tutta questa veemenza nel criticare e sardoneggiare la sbianchettatura delle tette lupesche ad opera della censura di stato iraniana in occasione della messa in onda di una bruttissima partita della Roma, squadra che ha nel suo stemma la riproduzione del falso. Certo, la censura è stata stupida e bacchettona, ma la censura lo è sempre, e sarebbe un falso anche peggio sostenere che sia peculiare dello stato islamico, siamo noi cristiani eroicamente tutti d’un pezzo ad aver aperto la strada. Abbiamo addirittura un pittore, Daniele da Volterra, passato alla storia dell’arte come Il Braghettone, che si è guadagnato il pane facendo opera di censura in metà delle figure del Giudizio Universale, quelle ignude; la Santa Caterina con le sue poppe e tutto il resto al vento l’ha rivestita da capo a piedi, a San Biagio, un santo amatissimo da tutti quelli come me che soffrono di mal di gola, che guardava la santa con sguardo alquanto equivoco, ha fatto voltare la testa da altra e più immacolata parte.  Questo su ordine di Pio IV in anni che nel calendario islamico corrispondono all’oggi, i censori iraniani possono con qualche ragione affermare che il loro intervento sulla lupa è contemporaneo a quello sul Giudizio michelangiolesco. E possono guardare con fiducia al loro futuro, visto che le foglie di fico sono state poste sopra i piselli delle maschie statue dell’EUR durante il governo De Gasperi. Ma abbiamo fatto anche di peggio, abbiamo per pura stupidità dissacrato il simbolo più sacro del cristianesimo, la morte per supplizio della croce del Cristo. Cristo è stato appiccato alla sua croce nudo, la sua nudità è il segno più forte della sua passione, ma avete mai visto un crocefisso ignudo? No. Ma essenza delle nostre profonde radici cristiane è la pietas, la pietas verso se stessi, e per quello che ci riguarda, e riguarda solo noi, tutto è pietosamente dimenticato, tutto perdonato.

Il Secolo XIX, 8 aprile 2018