Se penso a quante ce ne siamo dette, a quante ne abbiamo scritte di pavide menzogne, e quanto ci facevano bene quelle bugie, se penso a quanto abbiamo fantasticato su quello che avremmo potuto essere di meglio, e rinascere e tornare a prosperare nella giustizia e nella bontà, grazie alla tremenda prova della pestilenza; l’occasione unica, ripetibile solo nei secoli, per purificarci da tutti i peccati e redimerci in una nuova luce di promettente, fattiva speranza. È passato solo un anno ed eccoci qua, a fregarci i vaccini tra di noi – a tal proposito ho appena saputo che la regione Piemonte ha già vaccinato oltre agli insegnanti universitari in servizio anche quelli arzillamente in pensione, essendo categoria degna della massima cura -, eccoci con un governissimo tecnico come massima novità politica, eccoci con i poveri che sono ancora più poveri e I ricchi più ricchi, così che non c’è dubbio su dove siano piovute le camionate di euro sparse per il Paese,  sul bagnato, come sempre. Se i popoli hanno un destino, il nostro è un destino di disgrazia, e l’arte nostra sopraffina è nel trasformare in disgrazia anche la più tremenda delle tragedie; la tragedia impone la sanzione della colpa e la catarsi, e alla disgrazia non c’è altro rimedio che la smemoratezza. E questo stiamo chiedendo, lasciare la mascherina a casa e tirare avanti. Ho una grande fotografia qui sulla parete che guardo se alzo gli occhi dal computer, è il ritratto di una ragazzina, un’immagine spoglia da ogni compiacenza estetica, nuda e cruda, per così dire; l’autore è Iacopo Benassi, un genio dello sguardo, e gli è stata commissionata anni addietro dal sindacato per una affiche in occasione del Primo Maggio. La ragazzina, otto, nove anni, veste una maglietta da due soldi, ha all’orecchio un pendino da due soldi, ha lunghi capelli sciolti non proprio pettinati, e ha due occhi. Ha due occhi diomio pieni di tutto l’universo, occhi pieni di dolcezza e carichi di fermezza, sguardo diritto e impavido, ombrato di dolore e senza un’ombra di malizia. La didascalia dell’affiche è semplice e fulminante, Avanti Popolo. Non credo che il sindacato ne sia rimasto entusiasta, io sì. Io ormai credo solo in quella ragazzina, credo che se ancora c’è un popolo il popolo è lei, l’unico popolo che accetta la tragedia e rifiuta la disgrazia, il popolo che ha la fermezza, il candore e la dolcezza per guardare avanti e per andare, andare nel mondo a fare meglio.