È la terza domenica dopo il Ponte e mi chiedo se non sia venuto il momento di parlare d’altro, non che in queste tre settimane non sia successo niente di qua e di là dal Ponte e molto è successo di tragicamente rimarchevole nel vasto mondo intorno. Mi chiedo se non sia venuto il momento di fare un po’ di igiene, gargarismi alla mente, passare il Folletto sul cuore, il gioco del silenzio con le mani conserte sul banco, quel giochino così educante del silenzio e della compostezza adesso che siamo fatalmente giunti alla magica ora del vieni avanti cretino e non c’è belina che si svegli la mattina senza sentire l’urgenza di comunicare a chi di dovere e a chi di piacere la sua notturna intuizione su cosa fare e cosa non fare per il ponte, sul ponte, sotto il ponte, dentro il ponte, attraverso il ponte. E anche in c… al ponte, visto che c’è chi si sveglia gravido della certezza che il ponte in fin dei conti non serva quel granché, e tutto sommato una sua logica c’è, perché se a uno gli basta il reddito di cittadinanza può stare a goderselo in casa senza andare in giro su e giù per i ponti. E tant’è, eccomi qui che riprendo a parlare del Ponte. Mi hanno detto che l’architetto Piano sta girando per i suoi cantieri sparsi nel mondo con un blocco di fogli dove ogni tanto si ferma ad appuntare lo schizzo di un nuovo particolare del suo progetto che gli è appena venuto in mente, mi hanno detto che quel blocco di carta lo tiene anche sul comodino accanto al letto dove dorme, mi hanno detto che se ne è fatto una passione. Ecco, farsene una passione; anch’io che non so progettare niente non so pensare e scrivere di altro perché del Ponte me ne sono fatto una passione. In questo tempo senza passioni, in questa città di Genova che cova le sue antiche passioni illanguidendo di nostalgia, ci si torna ad appassionarsi, e farsene una passione del Ponte non è, ovviamente, un semplice moto dell’anima, ma un appassionarsi civile e morale. Mamma mia come sarebbe bello se fosse mai tutta una città e tutto un Paese a riscoprirsi appassionato.

Il Secolo XIX, 2 settembre 2018